Il benessere fisico passa attraverso l’intestino

Un’ alimentazione scorretta ricca di zuccheri e grassi, poca o eccessiva assunzione di fibre, l’abitudine di mangiare di fretta che provoca fermentazione e gas, la sedentarietà, una scarsa idratazione, sono causa della Disbiosi intestinale che è un’alterazione della flora batterica intestinale dovuta ad un errato abbinamento dei cibi, allo Stress, all’utilizzo inadeguato di farmaci, che scatenano: meteorismo, stipsi o diarrea, stanchezza, disturbi gastrici, dilatazione del giro vita.

Scopriamo insieme quali siano i rimedi, soprattutto in presenza di disbiosi, che richiedono un radicale cambiamento del proprio stile di vita. È necessario:
2) riequilibrare la propria dieta;
3) evitare gli zuccheri raffinati che sono causa di fermentazione;
4) prediligere cereali integrali;
5) consumare più verdure meglio se fermentative
(iniziare un pasto con insalata mista);
6) consumare la frutta lontano dai pasti;
7) bere 2 litri di acqua al giorno iniziando al mattino con una tisana;
8) masticare lentamente;
9) regolare attività fisica;
10) integrazione con Probiotici.

Gli integratori Probiotici non sono tutti uguali bisogna, infatti, scegliere quelli giusti.

I probiotici regolarizzano la digestione.
Ogni mattina prima di colazione sarebbe opportuno assumerne una dose per ripulire e rigenerare la flora intestinale, con un’efficace azione sgonfiante e riequilibrante.
Per drenare i liquidi è consigliabile bere acqua e Aloe.

 

Dietista Dott.ssa Gabriella Violi 

Una estate al mare, voglia di cambiare…

Estate…sinonimo di mare…ma cosa sarebbe più opportuno mangiare e cosa, invece, evitare sotto l’ombrellone?

Spiaggia, bagni, sole, tanto movimento alternati a momenti di relax rigeneranti…in questa idilliaca condizione.. una corretta alimentazione diviene fondamentale… cibi freschi e leggeri ricchi di acqua e di antiossidanti come le vitamine A e C che idratino e non appesantiscano la digestione. I sali minerali, soprattutto potassio e magnesio, persi a causa dell’eccessivo caldo, vanno assolutamente reintegrati..un’ottima soluzione sarebbe mangiare insalate con verdure fresche di stagione, frutta secca e avocado.

Di seguito vi enuncerò alcune importanti regole per mantenersi in buona salute:

1) Bere molta acqua , almeno 2 litri, aggiungendo, eventualmente ed in base ai gusti personali, zenzero, limone o aloe al mango (che personalmente prediligo)

2) A colazione e merenda è salutare mangiare tanta frutta fresca (anguria, more, pesche, fichi, frutti di bosco, prugne, susine) o, in alternativa, centrifugati di frutta e verdura.

3) ad ogni pasto non deve mancare una porzione abbondante di verdure crude o cotte di stagione ( cetrioli, pomodori, lattuga, rucola, cicoria, bietole, melanzane, peperoni, zucchine)

4) sarebbe preferibile evitare pasti troppo impegnativi che potrebbero appesantire e rallentare la digestione: fritti, pasta calda, timballi, fettine di carne, pizza, crescione…. e optare per
un piatto unico e ben equilibrato dal punto di vista nutrizionale: prosciutto, tonno, mozzarella, pasta fredda condita con: pomodoro fresco e basilico, pesto, melanzane e mentuccia, peperoni con un cucchiaino di crema di acciuga, verdure…
oppure pranzi al sacco con panini integrali o di segale farciti con rucola, lattuga, pomodoro unitamente ad affettati magri (bresaola, fesa di tacchino, prosciutto crudo sgrassato, ecc..) o salmone o tonno.

5) un grandissimo SI ai secondi piatti di mare: acciuga, dentice, orata, nasello, triglia, sgombro…

6) attività fisica d’obbligo, almeno 30 minuti al giorno di camminata o corsa leggera da praticare anche sulla spiaggia.

Alla luce di quanto sopra esposto riporto (per i più esigenti) un esempio di alimentazione tipicamente estiva 😊
Colazione: latte di mandorla, fiocchi di avena, more, noci

Spuntino Anguria

Pranzo sotto l’ombrellone: panino integrale con tonno pomodoro e olive verdi oppure con bresaola, pomodori e zucchine grigliate il tutto rigorosamente condito con
Olio extravergine di oliva.

Merenda: una porzione di frutta o centrifugato frutta e verdura

Cena:
Patate bollite, insalata di mare e verdure grigliate, condite con limone e, ovviamente, con olio extravergine di oliva.

 

Diabaino News – Io Persona che conto

Come gestire in autonomia e consapevolezza l’insulina ai pasti


 

La Conta dei Carboidrati (CHO counting)   e’ un metodo di pianificazione del pasto che

si basa sulla conta della quantità  dei CHO da consumare a ciascun pasto.

 

PRINCIPI DEL METODO

I Carboidrati sono la principale componente dell’alimentazione che influenza la glicemia (livello di glucosio nel sangue).

L’aumento della glicemia dopo un pasto misto è legato al quantitativo di carboidrati introdotti.

Il fabbisogno insulinico pre-prandiale è determinato dal contenuto di carboidrati del pasto.

Assumere uguali quantità di CHO sia che siano amidi o frutta , sia latte o dolci implica lo stesso aumento glicemico postprandiale.

Alimento Glucosio

 

Tempo

 

Carboidrati

 

90 %

 

45-60’

 

Proteine

 

60 %

 

4 ore

 

Lipidi

 

10 % Molte ore

Se assunti in quantità corretta e costante  grassi e proteine contribuiscono in scarsa misura al fabbisogno insulinico

 

E’ consigliabile a tutte le persone con diabete in terapia intensiva (multiiniettiva o con

microinfusore)

Questo metodo permette di acquisire la capacità di :

  • Sapere cosa sono i carboidrati
  • Conoscere gli alimenti che contengono i carboidrati
  • Stimare correttamente il peso degli alimenti e il loro contenuto in CHO
  • individuare il rapporto insulina/carboidrati
  • di personalizzare  la dose di insulina in base alla quantità di carboidrati introdotta con il pasto.

Cosa sono i carboidrati?

I Carboidrati sono un Nutriente indispensabile perchè forniscono  la principale fonte di energia utilizzabile  dal nostro organismo.

Il loro assorbimento durante la digestione corrisponde  in un aumento del livello  di glucosio nel sangue (glicemia)che raggiunge il picco 90-120 min. dopo il pasto. Per utilizzare il glucosio il nostro organismo ha bisogno di un ormone, l’insulina, che permette al glucosio di entrare nelle cellule.

 

SI DISTINGUONO IN:  SEMPLICI e  COMPLESSI

Carboidrati semplici
I carboidrati semplici sono formati da due molecole di zucchero. Il loro assorbimento è rapido  e possono quindi causare un brusco aumento della glicemia. Per evitare il picco glicemico è importante ingerirli con altri alimenti piuttosto che a stomaco vuoto, è consigliabile consumarli con moderazione e sempre come sostituti di altri carboidrati.

Vediamo quali sono:

  • FRUTTA FRESCA, SUCCHI DI FRUTTA
  • LATTE, YOGURT
  • VERDURA
  • ZUCCHERO, MIELE, MARMELLATA, GELATI, CARAMELLE,
  • DOLCI E DOLCIUMI
  • BIBITE ZUCCHERATE

 

Carboidrati complessi
I carboidrati complessi sono formati da molte unità di zucchero unite insieme. Per via della loro struttura complessa vengono trasformati in glucosio lentamente e fanno quindi aumentare la glicemia in modo più lento e graduale rispetto ai carboidrati semplici. Va comunque detto che circa due ore dopo la fine di un pasto tutti i carboidrati ingeriti, che siano semplici o complessi, sono stati assorbiti sotto forma di glucosio.

Vediamo quali sono:

PASTA, RISO, POLENTA

PANE, FETTE BISCOTTATE, CRACKERS, GRISSINI, FIOCCHI DI CEREALI, BISCOTTI

PATATE, PURE’, GNOCCHI

FAGIOLI, LENTICCHIE, CECI, ORZO, FARRO, FARINA AVENA, MAIS, COUS COUS, PIZZA

 

Conoscere la quantità in CHO/100gr degli alimenti

Conoscere la quantità di carboidrati che si assumono ad ogni pasto e l’effetto che questi hanno sulla glicemia può permettere di:

– ottimizzare la terapia ipoglicemizzante
– migliorare il controllo della glicemia
– variare il più possibile la  dieta

 

Dove sono?

Pasta, riso, pane, biscotti          sì

Latte e latticini                            sì (lattosio)

Frutta e succhi                            sì (fruttosio)

Pesce, carne, uova eformaggi  no

Condimenti                                  no

Legumi e patate                          sì

Verdure                                        non considerevoli

Dolciumi                                       sì(saccarosio)

 

      Quanti sono?

  • Consultare tabelle
  • Etichette nutrizionali
  • Atlanti fotografici

Peso e porzioni

  • Bilancia
  • Stimare a occhio il peso a crudo
  • Utilizzare utensili o altro per le porzioni

 

Come Calcolare i CHO:

Per calcolare esattamente il contenuto dei carboidrati di un pasto è necessario consultare l’apposita tabella che fornisce il contenuto dei CHO per 100 gr di alimento.

 

di seguito un Esempio:

100 gr di riso contengono 80 gr di CHO

ma quanti CHO sono presenti per es. in 60 gr di riso?

 

Basta eseguire una semplice proporzione 80 gr : 100 = X : 60 gr

 

X = 80 x 60/100 = X= 48 gr di CHO presenti in 60 gr di riso

 

Dopo avere imparato a calcolare i carboidrati presenti in un alimento o in una sua porzione dobbiamo imparare a usare meglio questa nozione; dobbiamo imparare la sua applicazione che ci garantirà maggiore libertà nella gestione della terapia. Impareremo due regole applicative:

1) il rapporto Insulina/carboidrati e

2) l’indice di sensibilità insulinica.

L’individuazione del rapporto insulina/carboidrati quando?

Le Glicemie pre e post pasto stabili e nei target

 

Il rapporto insulina/carboidrati indica i grammi di carboidrati metabolizzati da 1 U di insulina, per un determinato soggetto.

Ciò permette di adeguare la dose insulinica all’introito glucidico di ogni singolo pasto.

Mediamente 1 U di insulina metabolizza circa 10-15 gr di CHO

La regola è la seguente: Regola del 500:     

 

RAPPORTO INSULINA/CARBOIDRATI = 500/Unità totali di insulina che giornalmente sono somministrate (fabbisogno insulinico giornaliero)

  • il numero “500” (che deve essere considerato 400 se si usa ancora insulina Regolare come ad esempio Humulin R o Actrapid) è un numero fisso che si utilizza per gli analoghi;
  • il segno “/” significa diviso;
  • le unità totali di insulina somministrate sono date dalla somma dell’insulina analogo (o dell’insulina regolare) sia che sia somministrata come boli pre-prandiali sia che sia somministrata come eventuali boli correttivi a cui si deve aggiungere la quota di insulina intermedia (tipo Glargine, per esempio) o la somma delle unità di insulina analogo o regolare somministrate sotto forma di infusione basale (in caso di uso del microinfusore).

in pratica Conoscendo la TDD (TOTALE DOSE INSULINA) Lyspro o Aspart = 500/TDD, se per esempio il tuo totale insulina giornaliero è 33 U fare 500 diviso 33 = 15 gr

Il tuo rapporto insulina CHO è 15 gr, cioè 1 U ti fa metabolizzare 15 gr di CHO,  per cui se si vuole consumare 30 gr di pane che ha 15 gr di CHO bisogna fare  1 unità di insulina

 

Indice di Sensibilità  insulinica o Fattore di Correzione Glicemico (FC)

Per individuarlo bisogna avere un Diario Glicemico quanto più possibile al Target.

Calcolare l’insulina necessaria per correggere l’iperglicemia, parametro individuale, variabile

Individuato dal diabetologo

 

In pratica serve a sapere indicativamente quanti milligrammi (mg) di glicemia vengono “abbassati” da 1 unità di analogo. Per esempio ci serve per sapere quante unità di insulina si devono somministrare per passare, da un valore di glicemia ad un altro valore di glicemia, inferiore .

La formula è la seguente:

Regola del 1800 : TDD (quantità di insulina totale giornaliera)

  • “1800” e “1500” sono numeri fissi: il numero “1800” (che deve essere considerato “1500” se si usa ancora insulina Regolare come ad esempio Humulin R o Actrapid) è un numero fisso che si utilizza per gli analoghi;
  • il segno “/” significa diviso;
  • le unità totali di insulina somministrate sono date dalla somma dell’insulina analogo (o regolare) sia che sia somministrata come boli pre-prandiali sia che sia somministrata come eventuali boli correttivi a cui si deve aggiungere la quota di insulina intermedia (tipo Glargine, per esempio) o la somma delle unità di insulina analogo o regolare somministrate sotto forma di infusione basale (in caso di uso del microinfusore).

 

ES. – 1800: 36 U di insulina analogo = 50

1 Unità di Insulina  modifica di 50 mg la glicemia

 

Tenere sempre presenti gli obiettivi glicemici concordati con il  Diabetologo.

 

Gabriella Violi

Dietista

Troppi grassi saturi aumentano (di parecchio) il rischio di diabete

Uno studio dimostra che basta un pasto super-grasso per ridurre la sensibilità all’insulina e modificare in peggio il metabolismo. Burro sotto accusa: mangiarne troppo raddoppia la probabilità di diabete, meglio usare l’olio d’oliva di diabete

di Elena Meli

Il diabete non è solo questione di troppo zucchero. A giudicare da due ricerche appena pubblicate, pure i grassi saturi sono in prima fila sul banco degli imputati: mangiarne in eccesso, per esempio perché si indulge spesso e volentieri nel fast food o perché anziché condire con olio d’oliva si preferisce il burro, aumenta considerevolmente il rischio di sviluppare un diabete di tipo 2.

Sotto accusa il fast food

La prima indagine, pubblicata sul Journal of Clinical Investigation da ricercatori del German Center for Diabetes Research, punta il dito contro hamburger, patatine e cibi grondanti grassi: i medici hanno dato ad alcuni volontari un bicchiere di acqua o di una bevanda contenente grassi saturi in quantità analoga a quelli di un doppio cheeseburgeer col bacon e patatine fritte o di due pizze al salame, quindi hanno valutato la resistenza all’insulina e altri parametri metabolici. «Basta un singolo “pasto” ad alto contenuto di grassi saturi per ridurre la capacità di azione dell’insulina sulle cellule e quindi modificare in peggio il metabolismo del glucosio, favorendo una resistenza all’ormone che è il primo passo verso il diabete; inoltre, nel fegato si accumula immediatamente più grasso e si modifica anche il bilancio energetico dell’organo – spiega Michael Roden, responsabile dello studio –. I cambiamenti metabolici che abbiamo osservato sono simili a quelli tipici dei pazienti con diabete di tipo 2 o steatosi non alcolica, il “fegato grasso” che si associa anch’esso a un maggior pericolo di diabete. Ci ha sorpreso vedere un effetto così evidente già dopo una sola “dose”, benché elevata, di grassi saturi».

Modifiche del metabolismo

Roden ha analizzato le modifiche del metabolismo nel fegato, nei muscoli e nel tessuto adiposo grazie alla risonanza magnetica, un metodo non invasivo ma preciso per “seguire” l’immagazzinamento di zucchero e grassi e valutare anche il metabolismo energetico delle cellule. «La resistenza all’insulina indotta dai grassi ha portato a un incremento di zucchero nel fegato e una concomitante riduzione dell’assorbimento di glucosio nei muscoli, un meccanismo che porta a far salire la glicemia ed è tipico del pre-diabete – spiega Roden –. Inoltre, nel tessuto adiposo abbiamo registrato un aumento della resistenza all’insulina che porta a un maggior rilascio di grassi nel sangue, che a sua volta peggiora la resistenza all’insulina in un circolo vizioso; l’eccesso di grassi, infine, può favorire la comparsa di steatosi epatica. I soggetti sani possono gestire l’impatto del cibo ad alto contenuto di grassi sul metabolismo, ma una dieta regolarmente ricca di grassi saturi può costituire un vero problema e aumentare molto il rischio di diabete», conclude il ricercatore.

Meglio l’olio del burro

Una valutazione confermata dai nuovi dati emersi dallo studio PREDIMED, pubblicati sull’American Journal of Clinical Nutrition: seguendo per quattro anni e mezzo oltre 3300 persone senza diabete ma ad alto rischio cardiovascolare i ricercatori si sono accorti che un elevato consumo di grassi saturi aumenta la probabilità di sviluppare un diabete di tipo 2. Nello specifico, con 12 grammi di burro al giorno (l’equivalente di una piccola noce) il rischio raddoppia; i grassi animali in genere sarebbero correlati a un maggior pericolo anche se con qualche eccezione, visto che per esempio lo yogurt intero sarebbe protettivo nei confronti del diabete. «I dati confermano l’opportunità di seguire la dieta mediterranea per mantenersi in salute e prevenire molte malattie croniche – scrivono gli autori –. La raccomandazione principale? Sostituire i grassi saturi e quelli di derivazione animale, in particolare da carni rosse e conservate, con grassi vegetali di olio d’oliva e frutta secca. Un’alimentazione ricca di frutta, verdura, legumi, cereali integrali, frutta secca e olio d’oliva che scarseggi di carni rosse e dolci è la migliore per ridurre il rischio di diabete».

Coriere della Sera 3 marzo 2017

 

Celiachia

Scopriamo cosa sono le intolleranze alimentari

Prima di trattare in termini psico-sociali le problematiche riguardanti le intolleranze alimentari ed in particolar modo il morbo celiaco, si rende opportuno definire le stesse in campo medico.
In biologia si definisce intolleranza l’insieme delle reazioni che un soggetto oppone ad un agente o sostanza che il suo organismo considera estranea e che, solitamente, è invece tollerata degli altri individui1.
In presenza di un individuo intollerante accade che, quando un antigene (o sostanza) alimentare, superata la barriera intestinale, scatena una anormale risposta di ipersensibilizzazione, si genera quella reazione che viene definita intolleranza. Le intolleranze alimentari possono avere, oppure non avere, una base immunologia.
I meccanismi non immunologici riconosciuti includono:
· carenze enzimatiche, come nel caso dell’intolleranza al latte, che non viene digerito a causa di un deficit dell’enzima della lattasi intestinale o del favismo, per la mancanza dell’enzima glucosio 6 fosfato  deidrogenasi;
· effetti farmacologici, come i sintomi (tachicardia, cefalea…) prodotti dalla caffeina e dalla teina;
· effetto indiretto causato dalla fermentazione nel colon di residui di cibo non assorbiti;
· effetto irritante sulla mucosa interna del tratto gastrointestinale:
· reazioni pseudoallergiche, che producono sintomi a quelli generati da reazioni Ig E mediate (orticaria, angioedema).

I meccanismi di natura immunologica (ai quali appartiene la celiachia) sono di quattro tipi:
· Ig E mediate;
· da anticorpi;
· da immunocomplessi;
· cellulo-mediate.

Differenze tra allergia e intolleranza
Nel linguaggio comune, si suole parlare indistintamente di allergia o intolleranza alimentare come se fossero la stessa cosa.
In realtà, nei due casi, sussistono alcune differenze a livello soprattutto biologico.
L’allergia, infatti, è provocata da una alterazione del sistema immunitario che provoca una risposta negativa, da parte dell’organismo, nei confronti di talune sostanze. Nella intolleranza, invece, non vi è alcun meccanismo immunologico alla base, sebbene la sintomatologia (vomito, diarrea dimagrimento, dermatite, asma) sia simile.
Nell’allergia i sintomi compaiono di solito a partire dai trenta minuti fino alle ventiquattro ore dall’ingestione dell’agente allergizzante. Solo in rari casi, i problemi compaiono già dopo pochi secondi.
Nella intolleranza, invece, la comparsa dei sintomi è più lenta e di solito essi si scatenano con l’ingestione di dosi maggiori di alimento.
Le allergie risultano essere meno frequenti delle intolleranze: si stima che lo 0,5% della popolazione italiana sia affetto da allergie ed il 20% da intolleranza.
In alcuni casi, sia le intolleranze che le allergie tendono a scomparire soprattutto nei bambini, dopo un periodo di ferrea dieta.
È il caso, per esempio dell’intolleranza al latte dalle quale, il più delle volte si guarisce, o della celiachia, che è, invece, una intolleranza permanente al glutine.

…e loro diffusione
Per quanto riguarda la diffusione delle allergie e delle intolleranze alimentari in Italia, si stima che la percentuale della popolazione che presenta problemi nei confronti di uno o più alimenti tende ad aumentare, forse anche in relazione alle manipolazioni che i cibi subiscono. Potenzialmente ogni cibo può provocare reazioni anomale. Spesso la diffusione di una data intolleranza in una determinata area geografica, dipende anche dalle abitudini alimentari vigenti in quella zona.
Molte delle intolleranze alimentari, soprattutto quelle che colpiscono i bambini, scompaiono spontaneamente per non ripresentarsi più, dopo un periodo di ferrea dieta nei confronti dell’alimento che crea problemi.
Non è questo il caso di intolleranze più importanti, quale è ad esempio la celiachia definita, appunto, intolleranza permanente al glutine.
L’intolleranza più frequente in assoluto sul territorio nazionale è quella al latte, che colpisce soprattutto i bambini. Ad essa si associano problemi di digeribilità anche verso i formaggi e altri alimenti direttamente derivati dal latte.
Molto meno diffusa risulta essere l’intolleranza al glutine, ma i dati relativi ad essa saranno analizzati in una delle prossime pagine.
Numerosi anche i frutti che possono creare problemi all’organismo.
Sono, nell’ordine: la mela, la pesca, il kiwi, le fragole, le albicocche, senza dimenticare che molti altri alimenti, tra i quali le uova, la frutta secca, il lievito… creano sovente reazioni anomale dell’organismo.

Sintomatologia, diagnosi e prospettive di cura
Nella maggior parte delle intolleranze, i sintomi principali sono a carattere esantematico o gastrointestinale. Nel primo caso, il corpo, ed in particolar modo il viso ed il torace, si ricoprono di eczemi e macchie che il più delle volte provocano prurito. Nei casi più gravi si verificano gonfiore e pericolo di soffocamento, se la zona interessata è vicina alla gola, fino al pericoloso shock anafilattico.
Nel secondo caso, la reazione al cibo ingerito riguarda l’apparato digerente e, quindi, stomaco ed intestino, con comparsa di frequenti episodi di vomito, diarrea e conseguente dimagrimento ed alterazione dei normali valori del sangue.
A questi due grandi gruppi di sintomi, se ne affiancano numerosi altri, più sfumati, ma non per questo meno frequenti. Citiamo, ad esempio, la rinite, cioè l’infiammazione della mucosa del naso accompagnata da raffreddore e tosse o l’asma, stato di malessere caratterizzato da respiro affannoso e sibilante, fame d’aria, impossibilità di compiere sforzi fisici.
A questa sintomatologia, possono inoltre aggiungersi altri e vari problemi: gonfiori addominali, stanchezza cronica, mal di testa, otite sierosa, disturbi del comportamento.
Proprio a causa della numerosità e rassomiglianza dei sintomi, risulta quasi sempre complicato stabilire a quale, o quali, alimenti si sia effettivamente intolleranti.
Sarà compito dello specialista interpellato (allergologo, pneumologo, dermatologo, gastroenterologo a seconda degli organi interessati dalle reazioni allergiche) invitare il paziente ad escludere e a reinserire nella dieta personale alcuni alimenti considerati a rischio e, poi, a sottoporsi ad alcuni esami di laboratorio necessari per una diagnosi sicura e veloce.
Nel caso si sospetti un’intolleranza più rara e seria, quale la celiachia, occorre sottoporsi ad altri specifici esami sul sangue, cioè la ricerca degli anticorpi AGA ed EMA e degli anticorpi anti transglutaminasi tissutale, ai quali va affiancata, per una diagnosi assolutamente certa, la biopsia dei villi intestinali. Ma di questo si parlerà più specificatamente nel paragrafo dedicato al morbo celiaco.
Per quanto riguarda le prospettive di cura, relativamente alle intolleranze alimentari, si è detto che alcune di esse passano spontaneamente dopo un periodo più o meno prolungato durante il quale si esclude dalla propria dieta l’alimento mal tollerato.
In altri casi, l’intolleranza è permanente e, a meno che non si arrivi alla preparazione di un vaccino specifico, per ora l’unica cura possibile è l’astensione totale dal mangiare l’alimento incriminato.

Di intolleranza si muore: la celiachia
La celiachia, (il termine deriva dal greco e significa ‘cavità’, in senso lato, quindi, cavità intestinale) conosciuta anche come morbo celiaco, o più semplicemente intolleranza al glutine, è una sindrome da mal assorbimento. Accade che alcune persone non riescano a tollerare il glutine, che è una proteina contenuta principalmente nella farina di grano, ma anche nell’orzo, molto probabilmente nell’avena, anche se le analisi effettuate ancora non hanno dato modo di stabilire se essa sia davvero un alimento vietato ai celiaci, nel malto, in molti tipi di amido e in tutti quegli alimenti che contengano anche in minima quantità una delle sostanze citate, non perché esse manchino dell’enzima adatto alla sua digestione (come accade a chi è intollerante al latte), ma perché le cellule che compongono il rivestimento interno del loro intestino sono sensibili ad una porzione (la frazione gliadinica) della proteina del glutine e non riescono perciò ad assorbirla.
I sintomi della celiachia appaiono principalmente durante lo svezzamento e cioè dopo aver introdotto i primi cibi solidi che contengono glutine nella dieta del lattante. Non è difficile, però, che persone adulte, sofferenti di magrezza eccessiva o di qualche malessere cronico non ancora identificato, si scoprano affette da morbo celiaco.
I sintomi più evidenti dell’intolleranza al glutine sono la presenza di diarrea maleodorante e di aspetto untuoso, vomito, inappetenza, calo ponderale, bassa statura, stato generale di denutrizione, seria debilitazione, diabete, osteoporosi, amenorrea, sterilità. In alcuni casi la celiachia è stata riscontrata in bambini con Sindrome di Down. Quando il morbo celiaco non viene diagnosticato in tempo, in special modo nei bambini molto piccoli, può portare alla morte. Al di là di questi sintomi più evidenti ve n’è un altro, tipico della celiachia, che anche per questo si differenzia dalle altre intolleranze alimentari: l’ingestione di glutine porta, nel soggetto celiaco, all’appiattimento e alla distruzione dei villi intestinali che, se sottoposti di frequente all’azione del glutine, possono ricrescere in modo anomalo fino a sviluppare forme tumorali allo stomaco e all’intestino.
Si stima che in Italia la celiachia abbia un’incidenza media sullo 0,5% della popolazione, sebbene ci siano regioni in cui i casi di celiachia registrati sono più numerosi e zone in cui essa risulta essere pressoché sconosciuta.
Per eliminare i sintomi e tornare ad un quadro clinico normale, il paziente celiaco non può fare altro che eliminare totalmente, dalla sua dieta, tutto ciò che possa contenere glutine, anche in minima quantità.
Per avere la diagnosi di celiachia, è necessario rivolgersi allo specialista in gastroenterologia che, dopo un’accurata anamnesi, prescriverà gli opportuni esami del sangue (ricerca degli anticorpi AGA ed EMA e degli anticorpi antitransglutaminasi tissutale).
Gli anticorpi AGA sono immunoglobuline prodotte a livello della mucosa intestinale e dei linfonodi mesenterici, che si trovano nel siero di oltre il 90% dei celiaci. Ancora più affidabile è la ricerca degli anticorpi EMA, ossia degli anticorpi antiendomisio rivolta alla classe Ig A la cui presenza è evidenziata mediante immunofluorescenza.
Recentemente si è anche dimostrato che gli auto-anticorpi riconoscono quale antigene la transglutaminasi tissutale. In caso di risultato negativo di questi esami o comunque in presenza di una sintomatologia che lasci presupporre la presenza dell’intolleranza al glutine, occorre effettuare il prelievo, tramite gastroscopia, dei villi intestinali, che saranno quindi sottoposti ad esame istologico.
Quest’ultimo è l’unico esame, allo stato attuale delle ricerche, in grado di dare l’assoluta certezza di diagnosi di morbo celiaco: infatti quando i villi risultano assenti, atrofizzati o di forma inconsueta, trattasi sicuramente di paziente affetto da celiachia.
A causa della natura predisponente al cancro e non essendoci al momento alcuna cura o vaccino atto a debellare la patologia, i pazienti sono costretti a seguire per tutta la vita una rigorosa dieta senza glutine: ciò consente il ripristino sia della normale architettura dei villi intestinali, sia delle funzioni mucosali.
Il mantenimento di una tale dieta non è comunque cosa semplice, considerando che piccole quantità di glutine sono state identificate in fonti non sospette, quali il caffè, spesso arricchito con orzo o lo zucchero a velo che di sovente contiene amido.
Tale dieta inoltre rappresenta una restrizione abbastanza forte alla normale alimentazione, il che giustifica gli sforzi degli addetti ai lavori tesi a trovare strategie alternative alla completa esclusione del glutine dal cibo.
                                           La dieta senza glutine
Per meglio comprendere quelle che sono le difficoltà di integrazione sociale che il soggetto celiaco può incontrare e i disagi che egli deve affrontare, è necessario presentare con precisione in che cosa consiste la dieta senza glutine e quali sono le limitazioni che essa comporta.
Penso che, a tale scopo, sia interessante considerare l’elemento cibo anche da un punto di vista antropologico.
L’antropologa inglese Mary Douglas (Londra 1913 – Nairobi 1996), definiva il cibo come “un rituale, i cui significati, condivisi da una collettività, vengono confermati e difesi”3.
Infatti, si può ben affermare che l’esclusione del glutine e, in senso più ampio, della farina di frumento dalla dieta, assume certamente aspetti differenti relativamente all’uso che di questa proteina fa la popolazione cui ci si riferisce.
Nei Paesi Nord-Europei, ad esempio, l’utilizzo della farina di grano è limitata alla preparazione di pochissimi alimenti: se da un lato, dunque, la celiachia è pressoché sconosciuta, è pur vero che i pochissimi soggetti che ne sono affetti non risentono in alcun modo delle limitazioni alimentari cui vanno incontro.
In Italia, invece, dove l’alimentazione è basata essenzialmente su pasta, pane e pizza, il problema celiachia finisce per divenire un problema di cultura alimentare e di costume sociale, più che di interesse medico.
Per definire meglio quanto detto, pensiamo a come potrebbe sentirsi un ragazzo italiano, tutto pizzeria, birra e fast-food, se dovesse scoprire di non tollerare il riso: dopo un breve momento di stupore, potrebbe ricordarsi che il riso, in fondo, non gli è mai piaciuto e che, sicuramente, non ne sentirà la mancanza.
Al cibo, anche per le persone senza alcun problema alimentare, non si riconosce mai il solo significato biologico.
Non vi è alcuna società umana che considera il cibo da un punto di vista puramente alimentare o della sua commestibilità: al cibo, infatti, si ricollegano valori complessi ed ideologie religiose.
Il cibo riveste anche una funzione simbolica: esso cioè ha il compito di fungere da sistema di riconoscimento.
Sono questi i motivi per cui un popolo spesso si riconosce e si identifica nelle tradizioni culinarie che lo contraddistinguono.
Partendo, dunque, da questi presupposti è facile comprendere come mai il soggetto intollerante non trovi risposta al suo problema nelle istituzioni e nei luoghi di ristorazione: il soggetto che necessita di una dieta senza glutine, e dunque di una dieta particolare, è a sua volta considerato particolare, di una particolarità non sempre compresa.
Mi spiego: una società capace di far propria la dieta vegetariana, quella macrobiotica, quella bio e così via, non accetta invece quella gluten-free per il semplice motivo che allontanarsi da un alimento importante, come è la farina nell’alimentazione nostrana, può apparire come una perdita di identità verso il proprio gruppo di appartenenza: qualunque cosa che abbiamo in comune con il resto del gruppo, infatti, sia esso il cibo, il modo di vestire o i luoghi da frequentare, ci rende partecipi di quel gruppo e, di conseguenza, ogni motivo di diversità, acuisce l’ansia di essere estranei al gruppo e, per questo, non accettati dai componenti dello stesso.
Questa estraneità socio-culturale potrebbe essere in parte superata se il paziente accettasse il suo essere ‘soggetto celiaco’ e si adoperasse per affrontare e, quindi, vivere al meglio la sua situazione, adeguandosi ad uno stile di vita che certamente lo preserverebbe da successivi e più seri problemi.
In base a quanto detto finora risulta forse più chiaramente quale sia la natura delle problematiche psico-sociali che si può trovare ad affrontare un soggetto con una intolleranza alimentare come quella al glutine.
L’uomo ha vissuto per millenni senza glutine ed i suoi pasti erano a base di prodotti che gli offriva la terra o di ciò che riusciva a ricavare dalla caccia e dalla pesca.
Oggi lo scenario gastronomico è totalmente diverso e senza dubbio, i condizionamenti che la vita sociale ci impone anche a tavola, creano non poche difficoltà a chi deve attenersi ad una dieta senza glutine: “il pane, da sempre simbolo di abbondanza e ricchezza diviene, nel soggetto celiaco, immagine di tutto ciò che egli deve, per vivere bene, assolutamente escludere dalla sua dieta”.
Onde evitare che il paziente celiaco, soprattutto quello più predisposto alla depressione, possa risentire troppo negativamente della sua situazione di ”privazioni” è dunque necessario che egli, dal momento in cui viene diagnosticato intollerante al glutine, impari a nutrirsi non solo con prodotti dietoterapeutici, ma anche e specialmente con cibo naturalmente privo di glutine, così da incontrare meno difficoltà di adattamento anche qualora dovesse trovarsi a mangiare fuori casa.

Pranzi senza glutine
Avendo precedentemente scritto che il soggetto celiaco, per raggiungere e mantenere un soddisfacente quadro clinico, deve scrupolosamente seguire per tutta la vita una dieta priva di glutine, è ora opportuno soffermarci ad analizzare i motivi per cui può risultare assai difficile rispettare tale dieta, definendo, subito dopo, aspetti positivi e negativi della partecipazione a pranzi totalmente “esenti da glutine”.
Il momento del pranzo o della cena è da sempre considerato importante, perché è il momento in cui un gruppo (sia esso formato da familiari, da amici o da colleghi di lavoro) si riunisce intorno ad uno stesso tavolo per condividere, oltre alle portate, anche idee, impressioni, timori…
Estremizzando il concetto, si potrebbe affermare che il soggetto celiaco non potendo condividere il menù degli altri, può risentirne e sentirsi escluso non solo dal pasto, ma anche dalle idee e dai discorsi che i commensali sostengono.
Oggi, grazie a una migliore conoscenza del problema celiachia, al maggiore interessamento dei gestori dei luoghi di ristoro e, soprattutto, al costante impegno dell’associazione A.I.C., di tanto in tanto, in diversi ristoranti d’Italia, vengono organizzati pranzi e cene assolutamente gluten-free (senza glutine), ai quali sono invitati a partecipare tutti i pazienti celiaci e le persone a loro più vicine che, per una volta, mangeranno come se fossero celiaci, condividendo con il celiaco “vero” non solo le chiacchiere, ma anche il pasto.
Naturalmente, tali iniziative sono accolte con grande gioia dai celiaci.
In queste occasioni, infatti, essi si sentono pienamente liberi dall’eccessiva attenzione che devono porre a tutto ciò che mangiano e dall’inevitabile timore che il cuoco, nel preparare le pietanze, abbia potuto involontariamente ‘contaminare’ l’insalata mista con polvere di farina sfuggita alla sua attenzione.
Durante questi incontri, inoltre, è naturale parlare con molta serenità e senza la paura di essere fraintesi del proprio problema, considerato che tutti i presenti conoscono bene l’intolleranza al glutine.
Sicuramente, poi, non si verrà apostrofati con frasi, in molte occasioni assai irritanti, del genere: “Ma prima o poi ti passa” o “Cosa vuoi che ti faccia ogni tanto uno strappo alla dieta?”.
Ben vengano, dunque, queste occasioni d’incontro, stando però ben attenti che esse non evidenzino, paradossalmente, invece di colmare, il divario esistente tra celiaco e non celiaci.
Infatti – mi chiedo – il voler riunire le persone intolleranti al glutine in un unico punto di ristoro non potrebbe risultare, in qualche modo, controproducente rispetto allo scopo prefissato?
Il soggetto celiaco, estremizzando ancora il concetto, non potrebbe sentirsi ancora più solo rispetto alla sua intolleranza quando, alla fine di quel pranzo organizzato, si troverà ad affrontare nuovamente il disagio di porre attenzione a ciò che mangia o di chiedere attenzione al cuoco?
L’organizzazione di questi pranzi produce, certamente, effetti positivi dal punto di vista della condivisione e della conoscenza del problema e acuisce, contemporaneamente, la speranza che a questi incontri segua una più attenta educazione ai ristoratori, ai cuochi e ai camerieri affinché il soggetto celiaco possa partecipare con gioia e senza disagio anche a quelle cene dove la gran parte dei commensali mangerà lasagne e pane fresco, sentendosi a pieno titolo uno di loro.

Dott.Giuseppe Pipicelli – Dott. Rosa Maria Bevilacqua
U.O. Serv. Territoriale Soverato

Le Calorie Nascoste

Alcuni alimenti sono privi di zucchero ma fanno lo stesso ingrassare. Una dieta può quindi avere l’effetto opposto.

Spesso le ‘diete fai da te’ non funzionano. Per esempio «Alle persone con il diabete capita, di scegliere alimenti a basso contenuto di zuccheri, ma ricchi di grassi e hanno un forte impatto calorico.in effetti i grassi non incidono sulla glicemia, (se non per il 10% 6 – 8 ore dopo il pasto)ma fanno ingrassare».

Le kilocalorie dette per brevità ‘calorie’ sono l’unità di misura dell’energia contenuta negli alimenti. Le calorie introdotte in eccesso si trasformano in grasso e determinano obesità o sovrappeso.

Spesso non ci accorgiamo che gesti quotidiani, apparentemente innocui,   come:    

Un po di vino in più, una birretta o una lattina di coca cola al ristorante, un caffè  zuccherato a metà pomeriggio, dell’olio aggiunto alle pietanze senza dosarlo.

Questi sono esempi di calorie inutili che portano al sovrappeso

 Spesso mi si pone la domanda:

“pur mangiando poco sono grasso… probabilmente perché sono geneticamente predisposto ad aumentare di peso”. In realtà si tratta soltanto di cattive abitudini alimentari.

 Purtroppo una persona sedentaria consuma poche calorie durante la giornata ed è per lei veramente facile assumerne più del necessario. Bisogna comunque considerare che senza grossi sacrifici in termini di gusto e di appetibilità dei cibi, è possibile limitare i danni eliminando le cosiddette “calorie inutili”, spesso nascoste dietro cattive abitudini alimentari.

Nessuno pretende che si utilizzi il bilancino per pesare ogni singolo cibo ma tanto più una persona è sedentaria e tanto più il vincolo delle calorie è importante e allo stesso tempo difficile da rispettare. Discorso diverso per uno sportivo che può concedersi qualche “lusso dietetico” in più, grazie ad un metabolismo ed un dispendio calorico superiore alla media.

CALORIE INUTILI
10 g di olio di oliva 90 Kcal se non si dosa l’olio di oliva con il cucchiaino è facile esagerare con la dose senza rendersene conto
10 g di formaggio grattugiato 40 Kcal i formaggi sono alimenti ad alto contenuto calorico. Escludendo quelli magri come i fiocchi di latte o la ricotta, generalmente il loro contenuto calorico si aggira tra le 300 e le 500 kcal per hg
2 caffé zuccherati 62 Kcal nell’esempio abbiamo considerato l’aggiunta di una bustina da 8 grammi di zucchero per caffé sostituendolo con un’analoga quantità di zucchero di canna si risparmierebbero solo 2 Kcal
10 grammi di pasta in più 35 Kcal quantità tutto sommato modesta facile da raggiungere se non si pesa la pasta prima di cucinarla; purtroppo la pasta è abbastanza calorica ma poco saziante se non viene abbinata a un po’ di grassi e proteine
1 bibita zuccherata 130 Kcal le bibite zuccherate non sono innocue quanto sembrano, l’aggiunta di carboidrati ad alto indice glicemico le rende particolarmente caloriche e poco sazianti
100 cl di vino 12% Vol. 66 Kcal anche l’alcol contiene un certo quantitativo di calorie; maggiore è la concentrazione della bevanda alcolica e maggiori sono le calorie; precisamente 5,6 Kcal per grado alcolico (Vol %)
Latte intero anziché p. scremato (400 ml) 72 Kcal un esempio di come molte calorie siano “nascoste” nell’alimento che le contiene. Tra i due tipi di latte il gusto è simile ma le calorie sono superiori in quello intero perché più ricco di grassi. Analogo discorso per yogurt naturale (50 kcal per 100 grammi) e quello alla frutta (80-120 kcal per 100 grammi) in cui l’eccesso di zuccheri aumenta a dismisura l’apporto calorico.
Un paio di caramelle 10 Kcal questo alimento apporta all’incirca 4-8 calorie per pezzo (escludendo le caramelle ipocaloriche che hanno un contenuto calorico quasi nullo)
Un cioccolatino

(10 g)

55 Kcal un cioccolatino in più al giorno rispetto al fabbisogno calorico, ci farebbe ingrassare circa 2,5 kg all’anno
TOTALE 560 kcal x 365 giorni = 207320 Kcal / 7800 = 26,5 kg di grasso guadagnati all’anno

 

Dieta miti da sfatare

Le “leggi” dietetiche di ieri sono oggi dei tabù. Negli ultimi anni il cosiddetto “buon senso dietetico”, condiviso dalle commissioni nutrizionali governative, dagli ambienti scientifici e dai medici, ha promosso diete con pochi grassi, poche proteine e molti carboidrati.
Questa filosofia ha dominato il campo e riempito gli scaffali dei supermercati con migliaia di prodotti ipolipidici-iperglucidici e contribuisce a caricarci di ansia e sensi di colpa quando non mangiamo “come dovremmo”.
Ciò che è peggio, queste diete, pur seguite con religioso fervore, fanno spesso ingrassare ulteriormente. Alcune di queste diete aumentano addirittura il rischio di patologie gravi, vi mantengono grassi e vi impediscono di vivere in ottima salute.
Il numero di persone in sovrappeso è sempre in aumento. Più ossessionati si è di essere magri, più si ingrassa.
Questo perchè ?
Perchè molte delle nostre “regole” nutrizionali sono SBAGLIATE !
Causa dell’obesità: l’eccesso di carboidrati !
Perché le diete iperglucidiche fanno ingrassare ?Pane
Tutti abbiamo bisogno di una certa quantità di carboidrati per produrre energia e rifornire il cervello di glucosio.
L’organismo immagazzina carboidrati solo nel fegato o nei muscoli, sotto forma di glicogeno. Ma il totale di carboidrati immagazzinabile nell’organismo è in pratica molto limitato (circa 300-400 gr nei muscoli e 60-90 gr nel fegato).
Quando si fa un pasto ricco di carboidrati e pieni di amidi, zuccheri e frutta, la vostra glicemia sale rapidamente. Entra allora in scena l’insulina che converte parte del glucosio in glicogeno, che viene immagazzinato nei muscoli e nel fegato per le future esigenze energetiche.
Però, se tutte le aree di deposito del glicogeno sono piene e c’è una quantità maggiore di glucosio che rimane nel sangue rispetto alle esigenze del corpo, l’insulina converte l’eccesso in trigliceridi (principale componente dell’adipe).
L’insulina prodotta a seguito dell’eccesso di carboidrati, scatena quindi un accumulo di adipe e impedisce l’utilizzo di quello già accumulato.
Sono i carboidrati ad alto I.G. che tendono a provocare picchi di glicemia facendo secernere notevoli quantità di insulina. Quasi tutti i frutti e le verdure ricche di fibre hanno un basso I.G. Tutti gli amidi, il pane e la pasta (ma non tutti i tipi) ce l’hanno altissimo.
piramide alimentarePer colmo di ironia essi costituiscono la base della “piramide alimentare” della “corretta alimentazione”!
Di conseguenza, quando mangiate uno di quei pasti ricchi di carboidrati, probabilmente immagazzinerete una buona parte su quei rotoli di grasso dei fianchi o della pancia !
Qualora l’insulina sia cronicamente elevata oppure salga e scenda come uno yo-yo, come accade quando fate pasti con abbondanza di carboidrati, allora diventa un ormone lipogenico (che induce la produzione di grasso) estremamente potente.
Ne consegue l’obesità.
L’obesità con grasso viscerale (nella cavità intraddominale) è spesso accompagnata da diabete o ipertensione. Uno studio ha indicato che l’obesità con grasso viscerale era presente in quasi il 90% dei pazienti con coronaropatia.
In uno studio è stato scoperto che sostituire i grassi saturi con i carboidrati ha comportato maggiori livelli ematici di trigliceridi e minori di HDL; doppia iettatura che aumenta i rischi di problemi cardiaci…
L’uso eccessivo di zuccheri raffinati porta all’iperglicemia che porta all’ipertrigliceridemia, a concentrazioni basse di HDL soprattutto nelle persone con qualche grado di resistenza all’insulina.
Il consumo di zuccheri ad alto I.G. è associato ad un aumento del rischio di sviluppare il diabete di tipo 2 e del rischio di infarto miocardico.

Proteine: sempre trascurate e demonizzate !
ProteineNella mitologia nutrizionale contemporanea i carboidrati sono i buoni, i cattivi sono i grassi e le proteine.
Ma le proteine sono la base di ogni forma di vita, la sostanza presente in maggior quantità nel nostro corpo dopo l’acqua.
E’ il maggior elemento strutturale delle nostre cellule, degli enzimi e del sistema immunitario.
Nove amminoacidi sono essenziali e devono essere forniti con la dieta. Senza il costante apporto di questi amminoacidi essenziali la sintesi proteica rallenta o si arresta.

Grassi: che fobia !
E’ forse la parola più temuta nel dizionario dietetico.Olio
I grassi contenuti nella dieta non fanno ingrassare, non solo, per perdere grasso bisogna ingerire grassi. Sembra un’eresia nutrizionale ma è scientificamente provato.
Contrariamente a quello che si crede, l’ossidazione dei grassi è regolata anzitutto dalla quota di carboidrati e non da quella dei grassi.
La cultura occidentale ha inculcato per almeno 30 anni lo slogan “i grassi fanno male”. Quasi tutti sono coinvolti in quella che pare essere una cospirazione.
Gli effetti positivi dei carboidrati e negativi dei grassi sono stati esaltati e guardati con i paraocchi e con una determinazione e caparbietà che avrebbero reso fieri alcuni dei nostri antenati meno tolleranti. Soprattutto quelli che erano tra la maggioranza quando affermavano che la terra era piatta e al centro dell’universo. Sembra che tutti pensino che la miglior dieta per ognuno di noi sia quella ricca di carboidrati complessi, con poche proteine e una ridotta quantità di grassi.
Ed ora ecco una verità che vi sorprenderà: I GRASSI FANNO BENE !
Una dieta più ricca di grassi aiuta a perdere peso e adipe.
Per molti, infatti, la dieta iperglucidica può far perdere peso ma anche tono muscolare. L’adipe può calare ma cala anche la forma e la tonicità del corpo.
E’ ora di informare la popolazione sulla fallacia delle diete ipolipidiche e dell’importanza dei grassi.
Un articolo pubblicato dalla CBS nel giugno del 1999 riporta: “L’assunzione di grassi è adesso al suo minimo storico e l’obesità al suo massimo storico.”
La gente mangia meno grassi e diventa più grassa !
Allora l’unica conclusione è la seguente: una dieta con molti carboidrati e pochi grassi può essere pericolosa per la salute.

L’ esempio americano
obeseCome già detto, il messaggio di scienziati e nutrizionisti è semplice: consigliarono agli Americani di mangiare meno grassi e più carboidrati. “E’ così che si dimagrisce” sostenevano !
Ma non è andata così !
Gli Americani sono senza dubbio il popolo più grasso del pianeta e diventano sempre più grassi. In questi ultimi anni, il consumo dietetico di alimenti ricchi di grassi saturi e di colesterolo è diminuito, mentre il peso medio dei giovani è aumentato di 5 Kg.
La loro passione per i carboidrati raffinati prese piede solamente all’inizio del XX secolo. Bevande a base di cola e prodotti con farina bianca raffinata e zucchero vennero introdotti solamente all’inizio del secolo scorso.
Prima di allora lo zucchero era proibitivamente costoso per la maggior parte delle persone e in quel periodo non si era mai sentito parlare di malattie cardiache…

Il paradosso francese (e altri)
Francesi
paris_torre.jpg (26243 byte)I francesi sembrano amare molto i grassi alimentari e sono assai orgogliosi della loro cucina ricca di burro, formaggio, prosciutto, bacon, salsicce e molti altri alimenti ricchi di grasso.
Nonostante questo, i francesi possiedono una minore percentuale di malattie alle coronarie rispetto ad ogni altra nazione occidentale.
Eschimesi
eschimesi Le tribù eschimesi sono persone robuste che godono di ottima salute con diete iperlipidiche.
Nonostante la loro dipendenza dai grassi alimentari, sperimentano poche malattie alle arterie e al cuore.
Gli eschimesi della Groenlandia hanno una dieta costituita principalmente da burro, formaggio, carne e pesce.
Le malattie cardiache erano quasi sconosciute fino al momento in cui (in tempi recenti) la civilizzazione occidentale apportò cambiamenti alimentari alla loro società.
Stessa situazione per gli eschimesi del Canada ed Alaska, la loro dieta iperlipidica ricca di olii di pesce ha permesso di scoprire ed esaminare i benefici per la salute di questi importanti lipidi.
Masai
Masai Questo popolo africano vive seguendo una dieta costituita quasi esclusivamente di carne, latte e sangue.
Nonostante la loro dieta, i Masai possiedono un buon profilo del colesterolo e presentano una ridotta incidenza di coronaropatie.

Spagnoli
toreriGli spagnoli sono soliti fumare molto, la carne è il perno della loro alimentazione, la caffeina è trattata alla stregua dell’acqua e lo stile di vita quotidiano delle persone non è propriamente spartano.
Eppure gli spagnoli sono tra i popoli europei più longevi.
Il fatto che bevano molto vino e apprezzino molto il pesce, può dirla lunga sulla loro longevità. I carboidrati sono consumati in quantità inferiore rispetto agli americani.
Risulta chiaro che c’è qualcosa di sbagliato nelle teorie che leggiamo sulla stampa popolare.
L’idea che i grassi saturi di per sé causino malattie cardiache oltre ai tumori è quindi sbagliata.

Altri miti da sfatare:
La carne rossa fa male.
I pericoli della carne rossa sono stati gravemente esagerati.
Ci hanno sempre detto che eleva il colesterolo e le patologie coronarie.
Uno studio recente ha dimostrato che la carne rossa ha effetti positivi sul colesterolo sierico e sui trigliceridi. La carne contiene l’acido linoleico coniugato (CLA), potente anticarcenogeno e agente lipolitico. Inoltre contiene tutte le vitamine del gruppo B, la vitamina A, la vitamina D, lo zinco, il ferro, il fosforo, il potassio, il magnesio e molte proteine di elevata qualità.
CarneL’acido stearico e il palmitico che costituiscono gran parte dei grassi saturi presenti nel manzo ha un effetto minimo sul colesterolo sierico e non aumenta l’LDL. Alcuni studi hanno dimostrato che l’acido stearico abbassa i livelli di LDL e il motivo potrebbe essere che viene prontamente convertito nel corpo in un acido grasso monoinsaturo.
I nostri antenati mangiavano carne in una certa misura per molte migliaia di anni e noi siamo geneticamente predisposti per fare il massimo impiego di tutto quanto ha da offrire.
D’altra parte abbiamo anche la capacità di mangiare e usare vari tipi di alimenti vegetali. Dopo tutto, il nostro processo evolutivo ci ha portato attraverso molte fasi alimentari nelle quali tanto la carne quanto gli alimenti vegetali erano presenti nella nostra dieta in varie proporzioni secondo uno spettro continuo con due estremi: le diete tutte di carne e le diete completamente vegetali.
Quindi l’uomo, sottoposto ad un processo evolutivo possiede la capacità genetica di usare i grassi, compresi i depositi corporei di adipe, come la nostra principale fonte energetica, una capacità che non è pienamente utilizzata da quelli che oggi seguono diete ricche di carboidrati.
Relazione tra grassi saturi e malattie cardiache
CuoreI grassi che provengono da fonti animali che contengono sia il colesterolo che i grassi saturi sono presentati come le bestie nere della dieta civilizzata.
La teoria che esiste una relazione diretta tra la quantità di grassi saturi nella dieta e l’incidenza delle malattie alle coronarie, come anche certi tipi di tumori, è stata proposta oltre quattro decadi fa. Poco è cambiato per questo dogma anche se numerosi studi successivi hanno investigato i dati e le conclusioni originali.
In effetti ci sono ben POCHE prove per sostenere la disputa che una dieta povera di colesterolo e grassi saturi riduca veramente l’incidenza di decessi per malattie cardiache o che in qualche modo aumenti la durata della vita.
Infatti se le malattie cardiache sono arrecate da un consumo di grassi saturi, ci si dovrebbe aspettare un corrispondente aumento dei grassi animali nella dieta americana.
In realtà è vero il contrario. L’incidenza di malattie cardiache è aumentato drammaticamente tra il 1910 e il 1970, ma il rapporto dei grassi animali nella dieta americana è calato dall’83% al 62% e il consumo di burro è caduto a picco da 8,1 Kg annui per persona a 1,8 Kg.
Durante gli ultimi ottanta anni, la quota di colesterolo introdotto con l’alimentazione è aumentata solo dell’1% . Durante il medesimo periodo la percentuale di grassi vegetali alimentari sotto forma di margarina, grasso da pasticceria e olii raffinati è aumentata di circa il 400% e il consumo di zuccheri e alimenti raffinati del 60% circa.
Ridurre l’assunzione dei grassi al 20% o anche meno è quindi insensato.
Meno grassi mangiamo, meglio staremo ? ! ??
Molte persone non comprendono che alcuni grassi sono assolutamente indispensabili per la salute.
Gli acidi grassi insaturi omega-3 e omega-6 sono essenziali perchè il corpo non è in grado di sintetizzarli. Gli omega-3 sono le sostanze che sembrano proteggere gli eschimesi dalle malattie cardiovascolari.
Secoli fa ricavavamo molti omega-3 dalle piante selvatiche, dal pesce e dalla selvaggina. Oggigiorno poiché gli alimenti molto ricchi di omega-3 sono facilmente deperibili, vengono evitati dalle industrie alimentari.
Poiché i grassi polinsaturi e in particolare gli omega-3 sono instabili e irrancidiscono facilmente, altri prodotti nocivi dell’idrogenazione hanno preso il loro posto.
La nostra alimentazione è molto ricca di acidi grassi polinsaturi e in particolare di omega-6 ma povera degli indispensabili omega-3. Recenti ricerche hanno rilevato che troppi omega-6 nella dieta possono interferire con la produzione di prostaglandine, provocare infiammazioni, ipertensioni, depressione, cancro ed aumento ponderale.
I grassi saturi alimentari sebbene non siano chiamati essenziali, sono assolutamente necessari nella dieta perchè contribuiscono ad un’utilizzazione ottimale degli acidi grassi essenziali (EFA), apportano velocemente energia e potenziano il sistema immunitario.
I grassi alimentari addizionali sono consumati a scopi energetici piuttosto che contribuire all’accumulo di colesterolo nelle arterie.
L’acido oleico (monoinsaturo contenuto nell’olio di oliva e nella carne rossa) abbassa il livello di colesterolo sierico e l’LDL.

L’acido stearico (saturo contenuto nel manzo) ha un effetto minimo sul colesterolo e non alza i livelli di LDL e viene prontamente convertito nel corpo in un acido grasso monoinsaturo.
E’ possibile prevenire l’insorgenza di certe patologie se si includono grassi nella dieta.
I grassi monoinsaturi aiutano a ridurre il rischio di malattie cardiache.
Inoltre i grassi saturi che si trovano nella cioccolata e nella carne contengono l’acido stearico che, a differenza di altri acidi grassi, non aumenta il colesterolo nel sangue.
Il consiglio delle autorità americane di consumare meno grassi ha portato una fobia verso di essi.
E’ ora che ogni tanto si consumino questi alimenti, non solamente per il gusto ma perchè ci fanno bene.

Conclusioni
Si è sempre pensato che l’assunzione elevata di lipidi sia responsabile del sovrappeso e che l’unico rimedio sia l’utilizzo universale di diete ricche di carboidrati complessi e povere di lipidi.
Sono invece le diete ricche di carboidrati e la conseguente risposta insulinica i responsabili, nella nostra società di sovrappeso, e di molte attuali malattie e non i grassi alimentari.
Ma le diete che restringono l’assunzione dei carboidrati a meno della percentuale comunemente accettata del 55-70% sono però spesso criticate dalla maggioranza conservatrice in quanto viste come bizzarre e poco salutari.

a cura di Gabriella Violi Dietista

Combattere il colesterolo a tavola

Una alimentazione abbondante e scorretta altera l’equilibrio tra apporto calorico e necessità energetica dell’organismo. Una dieta troppo ricca di grassi provoca un innalzamento eccessivo e persistente dei lipidi nel sangue.

Ma che cosa è il colesterolo?

Il colesterolo è una sostanza che circola nel sangue in parte prodotta dal nostro fegato, in parte introdotta nel corpo attraverso l’alimentazione, è trasportata da particolari proteine chiamate lipoproteine   quali HDL colesterolo buono e LDL colesterolo cattivo.                                                                                              Il colesterolo svolge nell’organismo un ruolo molto importante, ma alti livelli nel sangue possono risultare dannosi.                                                                                                              Per questo motivo, ridurre il colesterolo è un passo importante per mantenere in salute il cuore.

Spesso dopo aver ritirato il referto degli esami del sangue diciamo:” Ho il colesterolo” Tutti l’abbiamo, e non potremmo farne a meno, il problema deve sorgere quando la sua concentrazione supera un certo valore (si chiama ipercolesterolemia).    

Indicazioni per la valutazione dei valori del colesterolo nel sangue:

Classe di colesterolo Valori Classificazione
Colesterolemia totale (mg/dl) < 200
200-239
≥240
Valore desiderabile
Valore borderline
Valore elevato
Colesterolemia HDL (mg/dl) >50 Valore desiderabile

Il colesterolo in eccesso tende a depositarsi sulle pareti delle arterie formando delle incrostazioni dette placche aterosclerotiche, che impediscono il normale flusso di sangue e quindi il nutrimento dei tessuti dell’organismo che può causare un evento temporaneo (ischemia) o di lunga durata (infarto, con danni permanenti all’organo stesso).

Quali sono i fattori di rischio?

Sono molti i fattori che influenzano il benessere del nostro cuore. Alcuni di questi non possono essere modificati (come l’età e l’ipercolesterolemia familiare), ma per altri possiamo fare molto (fumo obesità, alimentazione ecc.).

Cosa puoi cambiare                                      

Cosa non puoi cambiare

 

Il livello di colesterolo nel sangue La tua età
La pressione sanguigna La tua storia familiare o personale
Il fumo Fattori etnici
Il peso Il genere (maschio/femmina)
L’attività fisica  
Lo stress  
La tua alimentazione  
Il consumo di alcol  
   

 

L’alimentazione svolge un ruolo importante nella prevenzione dei danni dovuti all’eccesso di colesterolo?

Il colesterolo è contenuto solamente in cibi di derivazione animale che sono tutti cibi ricchi di grassi saturi. Il tuorlo dell’uovo e le interiora – come fegato e polmoni – in particolare, contengono molto colesterolo. I cibi di derivazione vegetale (frutta, verdura, cereali) non contengono colesterolo.       La quantità di colesterolo introdotto con la dieta non dovrebbe superare i 300 mg al giorno. Anche la vita sedentaria può contribuire ad accrescere i valori del colesterolo.

 

uali regole seguire?

  1. Una buona regola cuocere gli alimenti senza usare condimenti grassi (quindi no alle fritture) possiamo utilizzare la griglia o la piastra, oppure cuocere al cartoccio o al vapore.
  2. Vanno limitati – se non eliminati del tutto- burro, lardo, le salse; meglio un cucchiaio di olio d’oliva crudo, se temete che le vostre pietanze perdono di gusto, provate a utilizzare, in alternativa ai grassi, le erbe aromatiche; ne esistono tantissime e sono molto saporite. Qualche esempio? La menta, l’origano, il timo.
  3. Preferire la carne “bianca” pollo, tacchino, coniglio – alle carni più grasse, come quella di maiale (comprese salsiccie, pancetta, prosciutto con grasso, salame), di anatra e di oca; fra i salumi, meglio la bresaola o il prosciutto magro, ricordarsi di eliminare dalla carne sia la pelle che le altre parti grasse.
  4. Il pesce può rappresentare una sana alternativa alla carne è nutriente e non contiene grassi dannosi (grassi saturi). Mangiatelo spesso; gli acidi grassi polinsaturi presenti nel pesce abbassano il tasso di trigliceridi nel sangue, svolgono un’azione antitrombotica e sono ottimi antiaritmici. Almeno 3/4 pasti alla settimana dovrebbero essere a base di pesce (ovviamente cucinato in modo adeguato, cioè alla griglia, arrosto, bollito, al vapore, escludendo invece i fritti)
  5. Le uova sono molto ricche di colesterolo; il loro uso è quindi da limitare; stesso discorso per gli alimenti nella cui preparazione vengono impiegate uova, come pasta, maionese, creme, torte eccetera.
  6. A proposito di latticini, meglio il latte scremato di quello intero (lo stesso vale per lo yogurt) la panna va lmitata così come i formaggi grassi ( taleggio, gorgonzola); bene invece i formaggi cosiddetti magri (ricotta vaccina, fiocchi di latte).
  7. Qualcuno, demoralizzato, può chiedere con un certo risentimento; “Ma che cosa ci resta da mangiare?” Molti alimenti frutta e verdura a volontà purchè crude o cotte senza condimenti sospetti , pasta e riso – anche in questo caso non bisogna esagerare con i sughi – pane bianco o integrale con moderazione e…, molta acqua naturale.
  8. Infine ma non meno importante l’Attività fisica
    Fare attività fisica contribuisce a normalizzare il livello del colesterolo: contribuisce a mantenere sotto controllo il peso e a “bruciare” i grassi. E’ necessario praticare movimento in modo costante, ogni giorno.

Come controllarlo?

Per controllare i livelli si può ricorrere all’autoanalisi (con una semplice puntura del polpastrello) si preleva una goccia di sangue che viene esaminata da un analizzatore automatico.

Prima di effettuare il prelievo, bisogna astenersi da alcol (per 72 ore) e da cibo (per 12 ore).

 a cura di Gabriella Violi Dietista 

 

 

 

 

Una sana alimentazione per invecchiare in salute

 

Avere uno stile di vita sano significa compiere scelte salutari in più ambiti della vita quotidiana: praticare esercizio fisico regolare, adottare un’alimentazione corretta, sana ed equilibrata, non fumare, imparare a gestire lo stress, ci aiuta a combattere tassi elevati di Trigliceridi.

 

Spesso i trigliceridi si associano ad altri fattori di rischio come il Diabete, l’Ipertenzione e l’Obesità causa di malattie cardiovascolari.

 

Cosa sono i Trigliceridi

Costituiscono la maggior parte del materiale lipidico (grassi) che ingeriamo con gli alimenti

Essi svolgono nel nostro organismo essenzialmente la funzione di riserva energetica: le calorie in eccesso, quindi, vengono trasformate in queste sostanze, per poter essere immagazzinate con facilità. Il loro aumento dipende nella maggior parte dei casi da una scorretta alimentazione.

 

Come tenerli sotto controllo

Riducendo l’assunzione di tutti i cibi, equilibrando l’apporto calorico tra i vari nutrienti, aumentando il dispendio energetico, e migliorando il peso corporeo, si otterrà la riduzione dei trigliceridi. Se ciò non bastasse il Curante interverrà con terapia farmacologia.

 

Quali alimenti prediligere

Gli zuccheri complessi a lenta digeribilità, come la pasta preparata e cotta “all’italiana”, vengono assorbiti più lentamente dall’intestino rispetto agli zuccheri semplici, o anche rispetto agli zuccheri complessi a più rapida digeribilità, come quelli contenuti per esempio nel pane e nelle patate.

Di conseguenza, essi entrando meno velocemente nel sangue, stimolano una minore produzione di trigliceridi da parte del fegato. Anche il fruttosio, lo zucchero presente nella frutta, soprattutto in quella autunnale (cachi, fichi, uva) ed esotica (banane, mango, ananas,ecc.) rappresenta un potente stimolo alla produzione di trigliceridi. Si consiglia pertanto di preferire il più possibile cereali e derivati non raffinati (integrali), di limitare la frutta (in particolare quella più zuccherina) a 2-3 frutti al giorno (300-400g) e di ridurre il più possibile, o meglio evitare, lo zucchero e le bevande dolci.

 

 

 

 

La verdura è ricca di fibra alimentare, che svolge una efficace azione di controllo dell’assorbimento intestinale dei grassi. La fibra contenuta nei legumi (che sono tra l’altro ricchi di zuccheri a lenta digeribilità) è particolarmente interessante, da questo punto di vista.

Inoltre la fibra vegetale è scarsamente sensibile alla cottura: l’effetto descritto, pertanto, si mantiene anche nella verdura cotta.

 

Quali Grassi preferire?

Gli oli vegetali, ricchi di grassi insaturi.

I grassi saturi, caratteristici dei cibi di origine animale, ma largamente presenti anche in grassi vegetali come l’olio di palma e di cocco, come nelle margarine e negli alimenti che li contengono, tendono a stimolare la produzione di colesterolo e di trigliceridi da parte del fegato, mentre i grassi insaturi,di cui sono ricchi gli oli vegetali, come l’olio di mais, svolgono un effetto opposto.

RIDURRE SENSIBILMENTE O ELIMINARE L’ALCOL

L’alcol in tutte le sue forme (vini, liquori, birra) stimola in molti soggetti un’intensa produzione di trigliceridi da parte del fegato. In presenza di ipertrigliceridemia, pertanto, è necessario un controllo o meglio l’abolizione di questa sostanza.

AUMENTARE IL CONSUMO DI PESCE

I grassi di alcuni pesci (anguilla, tonno fresco, salmone fresco, sarde, sardine, sgombro, aringhe) sono caratterizzati da tre interessanti proprietà: sono efficaci nell’abbassare il tasso dei trigliceridi

nel sangue, svolgono un’azione antitrombotica (simile entro certi limiti a quella, ben nota, posseduta dall’aspirina) e sono inoltre dei buoni antiaritmici.

Consumare pesce almeno 2 o 3 volte a settimana (o almeno un apporto adeguato di acidi grassi omega-3 da alimenti integrati o arricchiti) dovrebbero entrare stabilmente nell’alimentazione.

 FARE ATTIVITÀ FISICA

Aumentare la propria attività fisica contribuisce in vari modi a normalizzare il tasso dei trigliceridi. Può aiutare a controllare il peso corporeo, un elemento, come si ricordava, di riconosciuta importanza da questo punto di vista, ed aiuta inoltre i muscoli a “bruciare” meglio i trigliceridi stessi per produrre

l’energia necessaria per il movimento.

Praticare un’adeguata attività fisica, tra l’altro, è un elemento essenziale di ogni ricetta per il benessere e la salute.

 Consigli

Un elevato tasso di trigliceridi nel sangue può essere la conseguenza di malattie a carico del rene (la sindrome nefrosica, per esempio), del diabete mellito, o dell’uso di certi farmaci. Il curante, talvolta con l’aiuto di alcuni esami appropriati, potrà chiarire la causa della ipertrigliceridemia ed attivare,

a questo punto, un intervento terapeutico mirato.

Il curante potrà decidere, in certe situazioni, la prescrizione di farmaci specifici per ridurre il tasso dei trigliceridi nel sangue. Questi farmaci vanno assunti con continuità, come i farmaci per il diabete o la pressione o il colesterolo.

Se i farmaci procurano disturbi (cosa che accade peraltro raramente), non sospendete il trattamento, ma consultatevi con il vostro medico. Per misurare correttamente il tasso dei trigliceridi, e vedere se esso si è modificato dopo una dieta adeguata o grazie all’effetto di un farmaco, è necessario essere a digiuno, al momento del prelievo, da almeno 12 ore, ed aver consumato, la sera precedente, un pasto leggero.

a cura di Gabriella Violi Dietista 

 

 

 

 

 

La conta dei CHO: Istruzioni per l’uso

Sono stati demonizzati i CHO. La conta dei CHO è un metodo Scientifico che sfata tutte le false credenze riguardo l’Alimentazione nella Malattia Diabete Mellito.

 

 

La persona con diabete oggi con le giuste conoscenze, le giuste dosi e un po’ di impegno può avere una vita flessibile grazie alla conta dei carboidrati.

 

La conta dei Carboidrati o calcolo dei Carboidrati, rappresenta un nuovo approccio

alla cura del diabete. E’ un metodo di pianificazione del pasto che richiede un poco

d’ impegno ma permette flessibilità e libertà di scelta nell’alimentazione,

in pratica ci permette di regolare le dosi di insulina in funzione della quantità

di carboidrati che si consumano nei diversi pasti.

Può essere considerato lo stato dell’arte della Terapia Nutrizionale, può essere proposta a tutte le persone con diabete mellito in terapia intensiva o con microinfusore.

Imparare il calcolo dei carboidrati richiede un minimo di impegno, non è cosa di un giorno, ci vuole la conoscenza e pratica nella quotidianità.

In primis apprendere cosa sono i carboidrati, in quali alimenti sono contenuti e quale ruolo svolgono nell’organismo.

 

L’importanza dei carboidrati

I Carboidrati sono nutrienti indispensabili e vengono chiamati anche zuccheri o glucidi (da glucos = dolce). La loro importanza consiste nel fatto che forniscono rapidamente energia necessaria alle cellule del nostro corpo. L’assunzione giornaliera raccomandata è pari al 45-60% dell’apporto calorico totale, con preferenza per i carboidrati a lento assorbimento.
Occorre conoscere quali sono gli alimenti che contengono carboidrati e quali invece non li contengono, o che comunque ne contengono parte irrilevante per cui influiscono poco sul tasso dello zucchero nel sangue (Glicemia)

Ecco la lista:

 

 ALIMENTI CARBOIDRATI O ZUCCHERI (CHO) PROTEINE GRASSI DI ORIGINE ANIMALE GRASSI DI ORIGINE VEGETALE
LATTE E LATTICINI Si, contengono uno zucchero chiamato lattosio SI SI NO
PANE E PASTA Si, in maniera prevalente SI NO in quantità minime
CEREALI E DERIVATI IN GENERE Si, in maniera prevalente SI NO in quantità minime
LEGUMI SI SI NO SI
CARNE, PESCE, UOVA In misura nulla o molto bassa SI SI NO
FRUTTA Si, contengono uno zucchero, il fruttosio In misura trascurabile NO In misura trascurabile
VERDURA Si in misura non considerevole, eccezion fatta per la patata

 

In misura trascurabile NO In misura trascurabile
CONDIMENTI NO NO Burro, margarina, strutto, lardo, panna Olio d’oliva e di semi

 

 

 

TRASFORMAZIONE DEGLI ALIMENTI ASSUNTI

CON L’ALIMENTAZIONE IN GLUCOSIO

ALIMENTO GLUCOSIO TEMPO
CARBOIDRATI 90% 45-60 MIN
PROTEINE 60% 4 ORE
LIPIDI 10% MOLTE ORE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

N.B. Se assunti in quantità corretta e costante i grassi e le proteine contribuiscono in scarsa misura al fabbisogno insulinico

 

Il passo successivo richiede un allenamento di memoria e di attenzione. Bisogna imparare quanti carboidrati ci sono in una determinata quantità di alimento, ad esempio:

Carboidrati con prevalenza di amido

(gr. di carboidrati per 100 di alimento al netto degli scarti) mediamente contengono:

pane              55

pasta              75

riso                 80

pizza               53

cracker salati   80

fette biscottate 83

legumi secchi   55

fiocchi di mais   88

biscotti secchi   79

 

 

 

 

Carboidrati con prevalenza zuccheri semplici

(gr. di carboidrati per 100 di alimento al netto degli scarti)

 

Zucchero da cucina    100

Latte                         5

Miele                       80

Marmellata              58,7

 

 

Bevande zuccherate x 100 gr.

Succo di frutta  15

Succo di Arancia 8

Birra                4,5

Coca cola        11

Gassosa          10

 

Frutta x 100 gr.

Albicocche, arance, anguria,fragole,limoni 6

Ananas, ciliegie,pere,susine, mele             10

Fichi,uva, banane,mandarini                     14

 

 

 

Ecco un esempio di un pasto:

 

Alimenti Gr. al crudo Gr. x CHO :100 Quantità di CHO
Pasta al pomodoro 60 g 60 x 75 : 100 45 g
Vitello arrosto 100 g 100 x 1 : 100 1 g
Olio d’oliva 1 cucchiaino   —–
Pane 30 g 30 x 55 : 100 16,5 g
Insalata verde 150 g 1 x 150 : 100            10 g
pera 100 g                100 x 10: 100            10 g
  TOTALE CARBOIDRATI 82,5

 

 

 

 

Cosa bisogna fare? Bisogna memorizzare la quota di carboidrati contenuta in ogni alimento, e valutare con precisione il peso della razione scelta. All’inizio allenarsi utilizzando la bilancia e pesare gli alimenti a crudo e/o a cotto, successivamente

Si potranno utilizzare le unità di misura alternative es. il cucchiaio, il mestolo il bicchiere, il pugno ecc.

Tutto questo permetterà a riconoscere ad occhio il peso di una porzione media dei diversi alimenti che si consumano più frequentemente e quindi poter facilmente contare i carboidrati in essa contenuti, ogni tanto mettiamoci alla prova stimando le porzioni e controllando con la bilancia.

L’attenta lettura delle etichette nutrizionali che si trovano sui cibi confezionati riportano con precisione le percentuali dei nutrienti, e potranno esserci di aiuto.

Il passo seguente è quello della verifica, per almeno due settimane in condizioni di vita normale annotiamo su un diario le glicemie secondo lo schema suggerito dal diabetologo, la quantità di carboidrati consumati ad ogni pasto,

la dose d’insulina praticata ed eventuale attività motoria o episodi di ipoglicemia.

 Calcolare la quantità di Insulina

Una volta imparato a contare i carboidrati del pasto si può regolare la dose di insulina in base all’introito di carboidrati.

 A questo punto non ci resta che individuare il nostro rapporto insulina /carboidrati

ovvero bisogna sapere quanti grammi di carboidrati sono metabolizzati da un’unità di insulina. Ovviamente il calcolo è applicabile solo se le glicemie riscontrate rientrano nel target concordato con il diabetologo.

Mediamente una persona magra con una unità di insulina ‘metabolizza ’ 20 grammi di carboidrati, una persona in sovrappeso metabolizzerà con una unità di insulina 10 grammi.

È importante ricordare che il rapporto insulina/carboidrati varia da persona a persona e può essere diverso per la colazione, il pranzo e la cena.

 

RAPORTO INDIVIDUALE INSULINA /CARBOIDRATI:

 

grammi di carboidrati introdotti con il pasto

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 dose di insulina rapida iniettata prima del pasto

 ESEMPIO:

glicemia prima del pranzo 120 mg

100 gr. di cho   (70gr. pasta, 40 gr. pane, 150 gr pollo, 200 gr. di pera)

Dose praticata 5 unità

Glicemia due ore dopo il pranzo 135 mg

In questo caso il rapporto ins/CHO è di 1: 20 (100gr di CHO: 5 U di insulina = 20 gr)

Cioè una unità di insulina mi fa assumere 20 gr. di carboidrati

 In alternativa vi è un altro metodo la regola del 500

Nel caso in cui la glicemia postprandiale rientri nei target si dovrà dividere 500 per la dose totale di insulina giornaliera il risultato ottenuto esprime i grammi di carboidrati che 1 unità di insulina ultrarapida permette di utilizzare

 Come effettuare le correzioni
A volte, se si riscontra una glicemia troppo alta prima di un pasto, potrebbe essere necessario di dover adeguare la dose di insulina. Per calcolare la quantità supplementare di insulina a quella già prevista occorre calcolare il cosiddetto fattore di sensibilità. Esso si ottiene dividendo un numero fisso (1500 per chi usa l’insulina rapida o 1800 per chi usa l’analogo rapido ) per il numero totale di unità giornaliere (la media). Il valore ottenuto rappresenterà la quantità di calo glicemico espresso in mg/dl ottenibile aggiungendo un’unità di insulina.
Ipotizzando una quantità totale di insulina rapida giornaliera di 45 U il calcolo sarebbe il seguente

1500 o 1800 : totale unità giornaliere

insulina

= calo previsto in mg/dl per unità aggiunta
Numero fisso

1800

: 45 U = 40 mg

 

In pratica dividendo l’eccedenza di insulina misurata rispetto al valore ottimale per il fattore di sensibilità si ottengono le unità di insulina da aggiungere a quanto già calcolato per correggere la glicemia.
Ipotizzando un’eccedenza di insulina pari a 80 mg/dl il calcolo sarebbe il seguente:

 

eccedenza misurata espressa in mg/dl : calo previsto per ogni unità aggiunta (fattore di sensibilità) = unità da aggiungere al fabbisogno insulinico stimato
80 mg : 40 mg = 2.0 U