PROPRIETA’ NUTRIZIONALI DELLA LIQUIRIZIA

Area storica di produzione e consumo:
In Italia la liquirizia trova localizzazione quasi esclusivamente nella Regione Calabria dove si concentra circa l’80% della produzione nazionale, principalmente proviene dalla zona costiera della Calabria e dall’area pedemontana che costeggia lungo il suo corso: L’area di maggiore trasformazione della “Liquirizia di Calabria DOP” è situata nei comuni di Castrovillari e Corigliano.

Legame col territorio: La liquirizia pianta originaria dell’area mediterranea, cresce in modo spontaneo lungo il litorale calabrese, dove natura del suolo e clima contribuiscono a determinare il contenuto di glycyrrhizina.
Esistono diverse varietà ma la più apprezzata è la Glabra.
Le radici (da cui si estrae il “succo o estratto”) di questa pianta, sono lunghe e penetranti, infestanti e concimanti come tutte le leguminose.

Nel mondo esistono anche altre piante che producono i seguenti tipi di liquirizia :

1- Astragalus glycyphyllum in Europa

2- Glycyrrhizia Epidota negli Stati Uniti

3- Hedysarum Mackenzii in Canada

Da sempre la liquirizia ha costituito per la Calabria una potenziale ricchezza, ma soltanto con l’intervento del Duca di Corigliano, che impiantò la prima fabbrica del genere (1715), agli albori dell’industrializzazione, essa divenne una fonte reale di progresso economico.
Altre aziende sorsero sempre nel 1700 e sempre nella Sibaritide, ad opera di nobili e ricche famiglie: Amarelli (1731), Abenante (divenuta poi Martucci nel 1808) e Labonia nel territorio del comune di Rossano e Castriota-Scanderbeg (divenuta poi Solazzi) in quello di Corigliano.
Nel corso del 1800 l’industria continuò a svilupparsi, conquistando, grazie alla bontà e genuinità del prodotto, i mercati d’Europa e d’America.
L’esportazione della liquirizia calabrese si consolidò ed ampliò nella seconda metà del secolo XIX ed ancora nel primo decennio del secolo XX.

Il suo prinicipio attivo è la glicirrizina con notevole potere dolcificante per cui viene usato nell’industria alimentare come aromatizzante nel confezionamento di dolciumi.Dalla liquirizia si produce un liquore che ha effetti favorenti i processi digestivi.

Oltre ad essere ingerito il prodotto finale, vengono ,masticate le radici che pare abbiano effetto positivo su chi abbia intrapreso un processo virtuoso per smettere di fumare o per favorire la digestione.

 

Nella Glabra sono altresì presenti due fenoli: il timolo e il carvacrolo che hanno le caratteristiche antiossidanti di tutti i fenoli.

Inoltre un flavonoide presente nella liquirizia l’Isoliquiritigenin (ILN) è ben noto come potenziale inibitore dell’espressività del COX-2.La ciclossigenasi(COX) è un enzima che sovraintende alla conversione delle prostaglandine a partire dall’acido arachidonico.Un cattivo funzionamento del COX-2 è stato ampiamente documentato nei casi di evoluzione delle neoplasie della mammella.

Recenti studi in campo diabetologico hanno dimostrato in studi in vitro e sperimentali sui ratti obesi che nella liquirizia è contenuta una sostanza, l’AMORFRUTIN.Le Amorfrutine sono una famiglia di sostanze contenute nella liquirizia con alta affinità con i recettori PPARγ, potenti regolatori del metabolismo lipidico e glicidico.Questo meccanismo è stato utilizzato in Diabetologia ; è stata creata una classe di farmaci i tiazolidinedioni, che sono potenti antidiabetici orali con lo stesso meccanismo di azione delle amorfrutine ma sfortunatamente ma con effetti collaterali specie a livello epatico.Questa peculiarità della amorfrutin la rende molto interessante e se ne potrebbe ipotizzare il suo uso clinico nelle malattie metaboliche quali il diabete mellito tipo 2 e l’insulinoresistenza nonché nei disturbi del metabolismo lipidico.

Infine i polifenoli contenuti nella radice etanolica della liquirizia producono un’azione benefica rallentando l’evoluzione dei processi aterosclerotici attraverso la riduzione dello stress ossidativo e perciò utili nei pazienti con malattie croniche cardiovascolari in assenza di scompenso e/o ipertensione in quanto il suo effetto sulla ritenzione idrica peggiorerebbe queste due patologie.

 

 

Un doveroso ringraziamento allo staff di www.tropea.biz dal quale abbiamo tratto le informazioni storiche relative alla presente pubblicazione..

 

Bibliografia

 

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Amorfrutins are potent antidiabetic dietary natural products.

Weidner Cde Groot JCPrasad AFreiwald AQuedenau CKliem MWitzke AKodelja VHan CTGiegold S,Baumann MKlebl BSiems KMüller-Kuhrt LSchürmann ASchüler RPfeiffer AFSchroeder FCBüssow KSauer S.

Otto Warburg Laboratory, Max Planck Institute for Molecular Genetics, Ihnestrasse 63-73, 14195 Berlin, Germany.

 Giuseppe Pipicelli            

Liquirizia di Calabria D.O.P.

PROPRIETA’ NUTRIZIONALI DEGLI AGRUMI

Giuseppe Pipicelli                                                                                             Anna Laura Badolato

 

Gli agrumi sono molto importanti nella nostra alimentazione ed, infatti, entrano a pieno diritto nella Dieta Mediterranea.

 

Ricchi di antiossidanti sono un efficace presidio di protezione nelle malattie cardiovascolari e metaboliche.

Nelle diete ipocaloriche sono molto indicati in quanto contengono poche calorie e hanno un alto potere saziante.

Si consiglia di assumerli senza levare la cuticola esterna che si vede levando la buccia in quanto contiene fibre che hanno un effetto molto positivo nella regolazione intestinale.

 

Recenti studi internazionali stanno valutando le proprietà terapeutiche sostanze contenute negli agrumi nel trattamento delle neoplasie , delle infezioni batteriche e virali con risultati molto incoraggianti.

All’aumentare del livello degli ossidanti nelle arance, per esempio, aumentano i benefici sullo stato di salute dell’individuo.

Tra queste sostanze particolare valenza ha il β-carotene contenuto nella polpa delle arance come potente antiossidante nei processi in cui lo stress ossidativo è particolarmente presente.

Negli agrumi, in misura diversa a secondo del tipo di agrume stesso sono presenti molte sostanze antiossidanti tra cui flavonoidi,acidi fenolici .Tra I flavonoidi , nel corso di sperimentazioni scientifiche, l’Apigenina si è dimostrata la più efficace inducendo, nella patogenesi delle neoplasie pancreatiche, una morte delle cellule tumorali e una significativa riduzione della replicazione di queste cellule.

La polpa dell’arancia , fonte importante di vitamina C e flavonoidi, è inoltre un fattore cardiovascolare protettivo come dimostrato in uno studio condotto su 80 soggetti adulti affetti da osteoartrite.

Siccome tutti gli agrumi sono fonte importante di vitamina C e Flavonoidi va da sé che tale proprietà, seppur con le dovute differenze, può essere applicata a tutti gli agrumi.

Gli agrumi I.G.P. Calabresi sono le clementine e il limone di Rocca Imperiale.

Pur avendo in generale le caratteristiche e le proprietà nutrizionali proprie degli agrumi presentano alcune differenze che li caratterizzano.

Limone di Rocca Imperiale

Il limone è,tra gli agrumi, quello a più basso contenuto calorico.Ideale nelle diete ipocaloriche ma poco sfruttato come frutto per il suo gusto fortemente acidulo mentre viene molto consumato come bevanda molto dissetante (contiene meno di 20 calorie ogni 100 gr.).ha il vantaggio di essere disponibile tutto l’anno per i molteplici usi che se ne fanno in cucina.

Il limone di Rocca Imperiale si contraddistingue per essere molto succoso e la totale assenza di semi.E’ molto facile da sbucciare e la buccia viene utilizzata per produrre essenze per uso alimentare (limoncello) e nella preparazione di svariati tipi di dolci.

Clementine di Calabria

Prive di semi e facili da sbucciare contengono una quantità elevata di succo e polpa.La buccia, abbastanza spessa, è utilizzata per la produzione di olii essenziali.

COMPOSIZIONE CHIMICA DEL LIMONE (per 100 gr.) Fonte I.N.R.A.N.

Parte edibile (%): 64
Acqua (g): 89.5
Proteine (g): 0.6
Lipidi(g): 0
Colesterolo (mg): 0
Carboidrati disponibili (g): 2.3
Amido (g): 0
Zuccheri solubili (g): 2.3
Fibra totale (g): 1.9
Fibra solubile (g):  
Fibra insolubile (g):  
Alcol (g): 0
Energia (kcal): 11
Energia (kJ): 46
Sodio (mg): 2
Potassio (mg): 140
Ferro (mg): 0.1
Calcio (mg): 14
Fosforo (mg): 11
Magnesio (mg):  
Zinco (mg):  
Rame (mg):  
Selenio (µg):  
Tiamina (mg): 0.04
Riboflavina (mg): 0.01
Niacina (mg): 0.3
Vitamina A retinolo eq. (µg): 0
Vitamina C (mg): 50
Vitamina E (mg):  

 

 

COMPOSIZIONE CHIMICA DELLE CLEMENTINE (per 100 gr.) FONTE I.N.R.A.N.

Parte edibile (%): 75  
Acqua (g): 87.5  
Proteine (g): 0.9  
Lipidi(g): 0.1  
Colesterolo (mg): 0  
Carboidrati disponibili (g): 8.7  
Amido (g): 0  
Zuccheri solubili (g): 8.7  
Fibra totale (g): 1.2  
Fibra solubile (g):    
Fibra insolubile (g):    
Alcol (g): 0  
Energia (kcal): 37  
Energia (kJ): 155  
Sodio (mg): 4  
Potassio (mg): 130  
Ferro (mg): 0.1  
Calcio (mg): 31  
Fosforo (mg): 18  
Magnesio (mg):    
Zinco (mg):    
Rame (mg):    
Selenio (µg):    
Tiamina (mg): 0.09  
Riboflavina (mg): 0.04  
Niacina (mg): 0.3  
Vitamina A retinolo eq. (µg): 12  
Vitamina C (mg): 54  
Vitamina E (mg):    

 Bibliografia

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ASPETTI NUTRIZIONALI NEL SOGGETTO AFFETTO DA DIABETE MELLITO

Giuseppe Pipicelli – Nicola Cardamone – Mary Pascale

I consigli nutrizionali contenuti nel presente articolo sono tratti da un volumetto prodotto dalla U.O.C. di Diabetologia e Dietologia Territoriale della A.S.n.7 di Catanzaro e distribuito ai pazienti diabetici al termine di un corso di educazione alimentare.

 

 

   L’alimentazione del soggetto con diabete mellito di tipo 1 e 2 ha un ruolo importantissimo.

Se il soggetto diabetico è ben compensato l’alimentazione è molto simile a quella di un individuo sano e deve chiaramente ispirarsi alla DIETA MEDITERRANEA. Tale modello alimentare, infatti, è quello più salutare e ormai accettato in tutto il mondo, modello in grado sia di prevenire la comparsa di malattie cardiovascolari e metaboliche ( tra le quali appunto il diabete mellito 2 ), sia di migliorare alcune malattie quando presenti.

 

 

FABBISOGNO ENERGETICO

 

   Il fabbisogno energetico del soggetto diabetico è simile a quello del soggetto normale.

La quantità di calorie è di 30-35 Kcal/Kg/die ( un uomo di 70 Kg ha bisogno di circa 2100 Kcal al giorno ). Pertanto, se il soggetto diabetico ha un “peso desiderabile” nella norma può ingerire questa quantità di calorie ogni giorno.

   Spesso, però, il soggetto con diabete mellito di tipo 2 è obeso ( l’obesità è infatti responsabile nell’80-90% dei casi di diabete mellito 2 ) ed allora il fabbisogno energetico giornaliero deve essere ridotto di 500-700 Kcal/die per avere una perdita di peso graduale e lenta nel tempo. La perdita di peso è responsabile del miglioramento della glicemia e della malattia diabetica.

 

NUMERO DI PASTI

 

   Il numero dei pasti ha una importanza fondamentale nel soggetto diabetico ed ha la funzione di mantenere la glicemia più stabile durante la giornata. Mentre un individuo sano può assumere tre pasti al giorno, il soggetto diabetico dovrebbe fare quattro-cinque pasti al giorno:

  • Prima colazione
  • Spuntino di metà mattina
  • Pranzo
  • Spuntino di metà pomeriggio
  • Cena

 

   A volte è necessario assumere sei pasti al giorno, aggiungendo ai precedenti un altro spuntino serale ( intorno le ore 22.00 ).

 

 

PROTEINE

 

   Il fabbisogno di proteine consigliato è di 1 gr/Kg/die, come per un soggetto normale e ciò corrisponde al 15% circa dell’apporto calorico di tutta la giornata.

Le proteine sono sostanze ( nutrienti ) che si trovano nei “secondi piatti” da mangiare tutti i giorni, sia a pranzo che a cena, facendoli debitamente ruotare durante la settimana.

 

 

LIPIDI O ACIDI GRASSI

 

   Gli acidi grassi devono costituire il 25-30% dell’apporto calorico totale.

Attenzione ai cosiddetti “grassi invisibili”, quali quelli contenuti nei formaggi, negli insaccati, in alcuni tipi di carne o pesce, nelle uova. Un eccesso nella loro ingestione porta ad un esagerato apporto di calorie e questa abitudine scorretta, se mantenuta nel tempo, porta ad un aumento di peso con peggioramento della malattia diabetica.

Da limitare l’assunzione di grassi saturi e di colesterolo

 

 

CARBOIDRATI O GLUCIDI O ZUCCHERI

 

   I carboidrati devono rappresentare il 50-55% dell’apporto calorico totale giornaliero e se il soggetto è normopeso ( utente con diabete mellito 1 ) possono anche rappresentare il 55-60% .

   Devono essere per l’80% “zuccheri complessi” ( amido ), per il 20% “zuccheri semplici”.

   Nella malattia diabetica si deve considerare il cosiddetto “INDICE GLICEMICO”, in base al quale alcuni alimenti che contengono carboidrati devono essere limitati perché fanno salire più velocemente la glicemia. Si ribadisce il concetto di “limitati” e NON vietati, proibiti, cioè possono essere mangiati dal soggetto con diabete mellito 1 e 2 saltuariamente.

 

Questi alimenti sono:

 

  pane bianco, carote, patate, zucca gialla, cornflakes, crackers, gnocchi di  

     patate, grissini, mais, polenta, popcorn, riso, semolino, dolci e dolciumi vari    

   ( merendine, brioscine etc ), caramelle zuccherate, bevande zuccherate, succhi

   di frutta, ananas, banane,   castagne, cocomero, fichi, fichi d’india, loti,  

   melone, frutta candita, frutta sciroppata, datteri, fichi secchi, nocciole, prugne

   secche, uva passa, uva sultanina, zucchero.

 

 

 

 

 

 

VITAMINE, SALI MINERALI E FIBRE

 

   Nell’ambito di una alimentazione varia ed equilibrata queste sostanze devono essere ingerite tutti i giorni attraverso alimenti come la verdura, la frutta, i cereali integrali, i legumi etc.

La quantità di fibre da ingerire è di circa 25-30 grammi al giorno.

ACQUA

    L’acqua è un nutriente essenziale per l’organismo umano. Circa il 60% del peso corporeo è costituito da acqua.

Il fabbisogno giornaliero di acqua nel soggetto diabetico è di un litro-un litro e mezzo.

   Da ricordare che in estate si deve bere più acqua ( dai due ai tre litri ) rispetto all’inverno.

ALCOOL

 Le bevande alcoliche devono essere assunte con moderazione dal soggetto diabetico.

   Se il peso corporeo è normale, in tutta la giornata sono consigliati 2-3 bicchieri di vino rosso per l’uomo e 2 bicchieri di vino rosso per la donna, da consumare ai pasti principali.

   Se il soggetto è in sovrappeso/obeso è preferibile eliminare totalmente le bevande alcoliche sia nell’uomo che nella donna per un certo periodo di tempo.

 FREQUENZA DI   ASSUNZIONE   CONSIGLIATA DEGLI   ALIMENTI

 Tutti gli alimenti che si ingeriscono devono essere “ruotati” durante la settimana, per assicurare variabilità e completezza nutrizionale.

   Pertanto, gli alimenti dovrebbero essere assunti secondo la seguente indicazione:

  • La carne 3-4 volte a settimana ( preferendo la carne bianca )
  • Il pesce 2-3 volte a settimana
  • I legumi 1-2 volte a settimana
  • Le uova 2 volte a settimana
  • I formaggi 2-3 volte a settimana
  • Gli insaccati/affettati 1-2 volte a settimana
  • Tutti i giorni, sia a pranzo che a cena, una porzione di verdura e di frutta
  • Cereali a basso indice glicemico (pasta, riso parboiled) una porzione al dì
  • Pane due porzioni al dì

 Le quantità degli alimenti variano da persona a persona e saranno quantificate in sede di indagine alimentare

CONSIGLI ALIMENTARI IN OCCASIONI PARTICOLARI

  • Il consumo dei dolci non è vietato, purché avvenga soltanto occasionalmente e sempre al termine di un pasto principale e mai fuori pasto. Il dolce va assunto in quantità moderata e si dovrà ridurre in quel pasto l’assunzione di altri carboidrati, pasta, pane e frutta e si dovrà aumentare la quantità di verdura. Alcune volte può essere necessario aumentare la quantità di insulina.
  • In occasione di pasti fuori casa ( cene con amici, compleanni, matrimoni etc ) si dovrà limitare le porzioni di cibi assunti ( mezze porzioni ) e se necessario si aumenterà la quantità di insulina.

CONSIGLI RELATIVI ALL’ATTIVITA’ FISICA

 Come per il soggetto normale, anche per il soggetto diabetico l’attività fisica, praticata con regolarità e costanza, è estremamente importante.

   E’ sufficiente compiere quotidianamente brevi passeggiate e, se possibile, praticare attività sportiva sotto la guida del proprio medico curante e medico diabetologo che ha in cura il soggetto diabetico.                         

Piccole strategie da applicare regolarmente possono essere le seguenti: 

à       passeggiare 30 minuti tre volte a settimana, poi 45 minuti cinque volte a settimana.

à       Oppure passeggiare 30 minuti cinque-sei volte a settimana.

à       Fare le scale a piedi sia a “salire” che a “scendere”.

à       Lasciare la macchina distante rispetto a dove si deve andare per fare così un tratto di strada a piedi.

 METODI DI COTTURA

 CARNE E PESCE           = alla griglia, in umido, lessati, al cartoccio, al

                                            forno a microonde

 VERDURE O ORTAGGI   = al forno, lessati, al vapore, se possibile crudi

 

UOVA                                 = alla coque, in camicia, sode, strapazzate, a

                                               frittatina, con il latte

 PER DOSARE IN MODO SEMPLICE ALCUNI ALIMENTI RICORDI CHE:

 1 cucchiaino da caffè di PARMIGIANO                                         equivale a 5 gr ca.

1 cucchiaino da caffè di ZUCCHERO                                             equivale a 5 gr ca.

1 cucchiaino da caffè di BURRO                                                     equivale a 4 gr ca.

1 cucchiaino da caffè di OLIO EXTRAVERG. DI OLIVA             equivale a 4 gr ca.

1 cucchiaino da caffè di PASTINA                                                   equivale a 5 gr ca.

 

1 cucchiaio da minestra di BURRO                                                   equivale a 13 gr ca.

1 cucchiaio da minestra di OLIO EXTRAVERG. DI OLIVA           equivale a 13 gr ca.                                        

1 cucchiaio da minestra di PASTINA                                               equivale a 15 gr ca.

 

1 FETTA BISCOTTATA                                                                 equivale a 8 gr ca.

1 UOVO   INTERO                                                                          equivale a 60 gr ca.

1 VASETTO DI YOGURT                                                           equivale a 125 gr ca.

 

Una sana alimentazione per invecchiare in salute

Avere  uno stile di vita sano significa compiere scelte salutari in più ambiti della vita quotidiana: praticare esercizio fisico regolare, adottare un’alimentazione corretta, sana ed equilibrata, non fumare,  imparare a gestire lo stress, ci aiuta a combattere tassi  elevati di Trigliceridi.

Spesso i trigliceridi si associano ad altri fattori di rischio  come il Diabete,  l’Ipertenzione e l’Obesità causa di malattie cardiovascolari.

Cosa sono i Trigliceridi
Costituiscono la maggior parte del materiale lipidico (grassi) che ingeriamo con gli alimenti
Essi svolgono nel nostro organismo essenzialmente la funzione di riserva energetica: le calorie in eccesso, quindi, vengono trasformate in queste sostanze, per poter essere immagazzinate con facilità. Il loro aumento dipende nella maggior parte dei casi da una scorretta alimentazione.

Come tenerli sotto controllo
Riducendo  l’assunzione di tutti i cibi,  equilibrando  l’apporto calorico tra i vari nutrienti, aumentando il dispendio energetico, e migliorando il peso corporeo, si otterrà la riduzione dei trigliceridi. Se ciò non bastasse il Curante interverrà con terapia farmacologia.

Quali alimenti prediligere
Gli zuccheri complessi a lenta digeribilità, come la pasta preparata e cotta “all’italiana”, vengono assorbiti più lentamente dall’intestino rispetto agli zuccheri semplici, o anche rispetto agli zuccheri complessi a più rapida digeribilità, come quelli contenuti per esempio nel pane e nelle patate.
Di conseguenza, essi entrando meno velocemente nel sangue, stimolano una minore produzione di trigliceridi da parte del fegato. Anche il fruttosio, lo zucchero presente nella frutta, soprattutto in quella autunnale (cachi, fichi, uva) ed esotica (banane, mango, ananas,ecc.) rappresenta un potente stimolo alla produzione di trigliceridi. Si consiglia pertanto di preferire il più possibile cereali e derivati non raffinati (integrali), di limitare la frutta (in particolare quella più zuccherina) a 2-3 frutti al giorno (300-400g) e di ridurre il più possibile, o meglio evitare, lo zucchero e le bevande dolci.

 
La verdura è ricca di fibra alimentare, che svolge una efficace azione di controllo dell’assorbimento intestinale dei grassi. La fibra contenuta nei legumi (che sono tra l’altro ricchi di zuccheri a lenta digeribilità) è particolarmente interessante, da questo punto di vista.
Inoltre la fibra vegetale è scarsamente sensibile alla cottura: l’effetto descritto, pertanto, si mantiene anche nella verdura cotta.

Quali Grassi preferire?
Gli oli vegetali, ricchi di grassi insaturi.
I grassi saturi, caratteristici dei cibi di origine animale, ma largamente presenti anche in grassi vegetali come l’olio di palma e di cocco, come nelle margarine e negli alimenti che li contengono, tendono a stimolare la produzione di colesterolo e di trigliceridi da parte del fegato, mentre i grassi insaturi,di cui sono ricchi gli oli vegetali, come l’olio di mais, svolgono un effetto opposto.

RIDURRE SENSIBILMENTE O ELIMINARE L’ALCOL
L’alcol in tutte le sue forme (vini, liquori, birra) stimola in molti soggetti un’intensa produzione di trigliceridi da parte del fegato. In presenza di ipertrigliceridemia, pertanto, è necessario un controllo
o meglio  l’abolizione di questa sostanza.
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AUMENTARE IL CONSUMO DI PESCE
I grassi di alcuni pesci (anguilla, tonno fresco, salmone fresco, sarde, sardine, sgombro, aringhe) sono caratterizzati da tre interessanti proprietà: sono efficaci nell’abbassare il tasso dei trigliceridi
nel sangue, svolgono un’azione antitrombotica (simile entro certi limiti a quella, ben nota, posseduta dall’aspirina) e sono inoltre dei buoni antiaritmici.
Consumare pesce almeno 2 o 3 volte a settimana (o almeno un apporto adeguato di acidi grassi omega-3 da alimenti integrati o arricchiti) dovrebbero entrare stabilmente nell’alimentazione.

FARE ATTIVITÀ FISICA
Aumentare la propria attività fisica contribuisce in vari modi a normalizzare il tasso dei trigliceridi. Può aiutare a controllare il peso corporeo, un elemento, come si ricordava, di riconosciuta importanza da questo punto di vista, ed aiuta inoltre i muscoli a “bruciare” meglio i trigliceridi stessi per produrre
l’energia necessaria per il movimento.
Praticare un’adeguata attività fisica, tra l’altro, è un elemento essenziale di ogni ricetta per il benessere e la salute.

Consigli
Un elevato tasso di trigliceridi nel sangue può essere la conseguenza di malattie a carico del rene (la sindrome nefrosica, per esempio), del diabete mellito, o dell’uso di certi farmaci. Il curante, talvolta con l’aiuto di alcuni esami appropriati, potrà chiarire la causa della ipertrigliceridemia ed attivare,
a questo punto, un intervento terapeutico mirato.
Il curante potrà decidere, in certe situazioni, la prescrizione di  farmaci specifici per ridurre il tasso dei  trigliceridi nel sangue. Questi farmaci vanno assunti con continuità, come i farmaci per il diabete o la pressione o il colesterolo.
Se i farmaci procurano disturbi (cosa che accade peraltro raramente), non sospendete il trattamento, ma
consultatevi con il vostro medico. Per misurare correttamente il tasso dei trigliceridi, e vedere se esso si è modificato dopo una dieta adeguata o grazie all’effetto di un farmaco, è necessario essere a digiuno, al momento del prelievo, da almeno 12 ore, ed aver consumato, la sera precedente, un pasto leggero.

a cura di Gabriella Violi Dietista

Le proprietà nutrizionali dell’olio di oliva

L’olio di oliva inserito nel contesto della dieta mediterranea ha riconosciute proprietà terapeutiche che andiamo ad esaminare in base ad una serie di lavori scientifici internazionali pubblicati sulla Medline che hanno investigato tali proprietà appunto.

La scoperta delle proprietà cardioprotettive della dieta mediterranea è uno dei più grandi successi dell’epidemiologia nel cui contesto riveste importanza significativa ha il consumo di olio di oliva.
Tra i meccanismi di cardioprotezione vi è la diminuzione dell’attivazione del NF-kappaB nelle cellule mononucleari.
L’endotelio è coinvolto nei processi di sviluppo dell’aterosclerosi considerata una malattia infiammatoria.In questo contesto l’olio d’oliva ha un effetto benefico nel prevenire questo tipo di  infiammazione.La capacità antinfiammatoria è dovuta alla presenza dei polifenoli che ritroviamo anche  nel vino, nel tè , in vari frutti e nella verdura come anche nella cioccolata e negli altri prodotti del cacao e che hanno riconosciute capacità antiossidanti.tra questi composti fenolici  nell’olio di oliva e nel vino ritroviamo il tirosolo che ha spiccate proprietà antiossidanti ben dimostrabili con la riduzione dell’ossidazione delle LDL con azione diretta sulle stesse attraverso un meccanismo di legame.Altri compsti fenolici presenti nell’olio di oliva sono idrossitirosolo e oleuropeina , squalene ed acido oleico  che hanno anch’essi dimostrato spiccata attività antiossidante.Molti studi dimostrano che la frazione fenolica estratta dall’olio extravergine di oliva(OOPEs) si oppone agli effetti citotossici a livello degli eritrociti.La caratteristiche antiossidanti della dieta mediterranea nell’osteoporosi senile hanno dimostrato una sua minore incidenza nei paesi in cui la dieta mediterranea costituisce l’alimentazione quotidiana.
Per quanto riguarda le capacità cardioprotettive , la dieta mediterranea , ricca in olio vergine d’oliva, riduce il rischio cardiovascolare , migliora il profilo lipidico,riduce i valori della pressione arteriosa , normalizza il metabolismo del glucosio e previene la patologia trombotica. Inoltre rallenta  il declino delle funzioni cognitive nella demenza senile e nel morbo di Alzheimer.
Infine si è visto come nei paesi in cui l’olio di oliva è la maggiore sorgente di grassi si ha un’aspettativa di vita maggiore a quella registrata nei paesi in cui ciò non avviene.
Da ciò si dimostra che l’acido oleico ha un  effetto vascolare ateroprotettivo diretto e ciò si riflette sugli effetti benefici nella riduzione del rischio cardiovascolare e nell’insorgenza di alcuni tipi di tumore(cancro del colon , della pelle e al seno).
Da segnalare, infine che il quotidiano consumo di verdura e di olio di oliva sono inversamente ed indipendentemente associate con il rischio di insorgenza di artrite reumatoide nella popolazione generale.Anche questo effetto è legato alle proprietà antiossidanti dell’ acido grasso n- 9 contenuto in alte quantità nell’olio di oliva.
In conclusione la dieta mediterranea e, nel suo contesto un consumo significativo di olio extravergine di oliva ,anche grazie alla presenza dei polifenoli, hanno effetto cardioprotettivo riducendo il rischio cardiovascolare , migliorando i parametri glicolipidici, prevenendo la comparsa di tumori intestinali, mammari e cutanei , preservando le capacità cognitive nell’anziano e aumentando l’aspettativa di vita.

TABELLA NUTRIZIONALE DELL’OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA Fonte I.N.R.A.N.)

Parte edibile (%) 100
Acqua (g)          tr
Proteine (g)          0
Lipidi(g)        99,9
Carboidrati(g)          0
Amido(g)          0
Zuccheri solubili(g)  0
Fibra totale          0
Energia (kcal)        899
Energia (kJ)       3762
Sodio                 tr
Potassio         tr
Ferro                0.2
Calcio                  0
Fosforo                  0
Tiamina                  0
Riboflavina          0
Niacina                  0
Vit.A ret.eq.          0
Vit. C                  0
Vit. E                 36
Bibliografia:

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Giuseppe Pipicelli
Direttore U.O.C. Diabetologia e Dietologia A.S.P. Catanzaro
Coordinatore Nazionale Gruppi di Studio A.D.I.

 

Proprietà nutrizionali del vino

Le proprietà terapeutiche del vino rosso sono da tempo conosciute e sono state esaltate dalla dieta mediterranea.Tali proprietà sono legate a componenti del vino che andremo ad esaminare in base agli studi internazionali in proposito.

Alla base vi è la presenza dei polifenoli che hanno un effetto antiinfiammatorio più pronunciato nel vino rosso, appunto rispetto anche ad altre bevande alcoliche(gin per es.).
Tra i componenti del vino il resveratrolo  (3,4′,5-trihydroxy-trans-stilbene) possiede proprietà chemio protettive contro alcuni tipi di cancro tra cui quello della prostata inibendo la replicazione delle cellule tumorali ed accellerandone la morte.Inoltre il resveratrolo promuove la produzione di ossido nitrico,inibisce l’aggregazione piastrinica,incrementa i livelli di HDL colesterolo contribuendo così alla cardioprotezione.
Come tutti i polifenoli il resvetarolo si trova per la maggior parte nelle bucce, nei raspi e nei vinaccioli. È da qui che si può intuire il motivo per cui è il vino rosso a essere più ricco di sostanze benefiche per la salute. Le tecniche di vinificazione dei vini rossi prevedono, infatti, una fermentazione del mosto a contatto con le bucce. Al contrario, nei vini bianchi (molti prodotti anche da uve a bacca nera) le uve vengono pressate, diraspate e separate da bucce e raspi.
Il vino rosso contiene circa da 1,5 a 3,0 mg di resveratrolo per litro.
Oltre al resveratrolo il flavonoidi polifenolici,gli antociani, l’ubiquinone e la melatonina sembra abbiano(gli studi sono ancora in fase iniziale) effetti positivi nella terapia del glaucoma.
In effetti un moderato consumo di vino rosso riduce il rischio cardiovascolare incrementando i livelli di colesterolo HDL.Altri potenziali meccanismi di cardioprotezione sono legati alla normalizzazione delle funzione piastrinica con riduzione degli episodi trombotici.
Anche il proantociano ha pronunciate attività antiossidative con effetto benefico sui processi aterosclerotici e nei pazienti diabetici.
Altro componente con attività antiossidante presente nel vino e nell’olio di oliva è il tirosolo con effetti sovrapponibili a quelli del resveratrolo.
Recenti studi in vitro hanno dimostrato che sono i composti fenolici, piuttosto che l’etanolo, ad avere l’attività antiossidante nella protezione del colesterolo LDL e che il vino rosso ha un effetto più rilevante rispetto a quello bianco. Alcuni studi hanno dimostrato come il consumo di vino dealcolizzato prevenga ugualmente l’ossidazione delle LDL, implicando il fatto che altri composti oltre all’etanolo siano responsabili dell’effetto cardioprotettivo del vino.
Tra i vini che contengono quantità significative di di sostenza protettive annoveriamo :Cirò, Barbaresco, Barolo, Barbera, Grumello, Inferno, Bonarda, Valpolicella, Sangiovese, Brunello da Montalcino, Montepulciano, Sagrantino, Montefalco, Nero d’Avola, Cabernet Sauvignon, Merlot.
In conclusione il vino è una ricca sorgente di polifenoli, antociani e flavonoidi con effetti benefici sopra descritti soprattutto in alcuni tipi di cancro e nelle malattie cardiovascolari e metaboliche.
Ciò evidenzia come un moderato quotidiano consumo di vino sia da ritenersi salutare come, d’altro canto, in maniera più generale, l’adozione della dieta mediterranea.
Infine non dobbiamo dimenticare che l’adozione della dieta mediterranea , per le proprietà cardioprotettive ed antiossidanti dei suoi componenti, si associa ad un’aspettativa maggiore di vita come ben descritto in numerosi studi internazionali che hanno appunto evidenziato come i popoli che affacciano sul Mediterraneo hanno un’aspettativa di vita maggiore rispetto a quelli dell’Europa del Nord che adottano uno stile alimentare molto differente da quello mediterraneo utilizzando altri tipi di condimento con consumo più elevato di grassi animali rispetto a quelli vegetali.

TABELLA NUTRIZIONALE DEL VINO (Fonte I.N.R.A.N.)

Parte edibile (%) 100
Acqua (g)         89,2
Proteine (g)           tr
Lipidi(g)            0
Carboidrati(g)            tr
Amido(g)            0
Zuccheri solubili(g)   tr
Fibra totale            0
Energia (kcal) 75
Energia (kJ)          314
Sodio                   4
Potassio           61
Ferro                  1.0
Calcio 
Fosforo 
Tiamina                    0
Riboflavina            0
Niacina               0
Vit.A ret.eq.            0
Vit. C                    0
Vit. E                    0

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Giuseppe Pipicelli
Direttore U.O.C. Diabetologia e Dietologia A.S.P. Catanzaro
Coordinatore Nazionale Gruppi di Studio A.D.I.

Disturbi del Comportamento Alimentare e Diabete Mellito

Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA), costituiscono un quadro clinico di grave e  frequente riscontro che insorge prevalentemente durante l’adolescenza.

Gli studi epidemiologici mostrano che le donne sono le più colpite, mentre solo il 15-20% dei pazienti è rappresentato dagli uomini.
I disordini alimentari, di cui Anoressia e Bulimia nervosa sono le manifestazioni più note e comuni, sono diventati nell’ultimo ventennio una vera e propria emergenza di salute mentale per gli effetti devastanti che riflettono sulla salute e sulla vita di adulti e adolescenti. Una persona diventa anoressica quando, riducendo o interrompendo la propria consueta alimentazione, scende sotto l’85% del peso normale in relazione all’età, sesso e altezza.
Il termine Anoressia etimologicamente deriva dal greco           (anorexia) che indica la mancanza o la riduzione volontaria di appetito, ed è pertanto contraddistinta da un intenso timore di ingrassare anche quando si ha un peso al di sotto della norma, che comporta un ossessivo controllo del proprio peso indicato dalla bilancia, che inizia con l’evitare tutti i cibi ritenuti grassi, concentrando l’attenzione su alimenti ipocalorici e sulla loro composizione. I pasti non evitati vengono spesso consumati con estrema lentezza, e il corpo è vissuto e percepito in modo talmente alterato da non riconoscere la gravità dell’attuale condizione di sottopeso.
L’anoressia solitamente si manifesta in due tipologie:
 – con restrizioni (notevole riduzione degli alimenti da ingerire);
 – con abbuffate e successive condotte compensatorie (vomito autoindotto; uso inappropriato di lassativi e diuretici; esagerato esercizio fisico).
La vita della persona anoressica è incentrata sulla questione alimentare a tal punto da non riuscire a provare interesse e entusiasmo verso altro. La preoccupazione per le forme corporee, pervasiva e acritica, si correla a vari sintomi psicologici come la deflessione del tono dell’umore, irritabilità, riduzione della libido, ritiro sociale, difficoltà nella concentrazione e dismorfofobia (visione distorta del proprio aspetto esteriore).
Tuttavia, l’indebita influenza che la forma e il peso corporei esercitano sull’autostima dell’individuo, accomuna l’Anoressia alla Bulimia nervosa.
Bulimia, è anch’esso un termine derivante dal greco          (bulimìa) che letteralmente significa “fame da bue” denotata da episodi ricorrenti di abbuffate compulsive, ossia ingestioni di grosse quantità di cibo in brevissimo tempo con assoluta perdita di controllo, poiché il soggetto avverte la sensazione di non riuscire a smettere di mangiare o di controllare cosa e quanto sta mangiando. In seguito al manifestarsi delle abbuffate, compaiono i comportamenti compensatori:  autoinduzione del vomito, abuso di lassativi e diuretici, digiuno, iperattività, al fine di prevenire l’aumento di peso. Si crea, dunque, un circolo vizioso mantenuto dall’alternarsi di abbuffate e vomito, e rinforzato dai sentimenti di vergogna e colpa (difatti il vomito rappresenta per il soggetto una forma di autopunizione), di disistima ed evitamento di quelle situazioni sociali in cui è prevista l’azione del mangiare.
I DCA sono il prodotto dell’interazione di molteplici fattori biologici, genetici, ambientali, psicologici e sociali: generalmente uno dei motivi che spinge la persona a sottoporsi ad una dieta eccessiva, concerne la necessità di corrispondere a un canone estetico che premia ed esalta la magrezza. Inoltre, le conseguenze dei DCA sotto il profilo fisico e psicologico sono devastanti: a livello fisico, gli effetti della malnutrizione causano ulcere intestinali, danni ai tessuti dell’apparato digerente, disidratazione, danni cardiaci, al fegato e ai reni, problemi al sistema nervoso con difficoltà di memoria e concentrazione, osteoporosi, emorragie interne, blocco della crescita, ciclo mestruale irregolare (amenorrea), perdita dello smalto dei denti a causa del vomito ripetuto, ipertrofia delle ghiandole salivari; le ripercussioni psicologiche comportano depressione, ansia, stress, impulsività, compromissione delle relazioni sociali, sessuali e familiari, pensieri autolesivi e di suicidio, tendenza a comportamenti maniacali e propensione al perfezionismo.
L’alimentazione scorretta rientra sia fra le potenziali cause d’insorgenza del diabete mellito, sia tra le conseguenze del disagio psicologico vissuto dal paziente in seguito alla mancata accettazione della sua patologia cronica. Tale condizione porta il soggetto ad avere delle abbuffate compulsive per dimostrare a se stesso e al mondo di non avere il diabete, proclamando così la sua “normalità”, ma in altri casi, un DCA può essere causato da un’errata aderenza alla dieta alimentare che porta il pz ad astenersi dal cibo.
Negli ultimi anni si è accumulata una notevole mole di studi che ha suggerito una discreta prevalenza dei DCA nei pazienti con diabete rispetto alla popolazione generale. I comportamenti associati a disturbi alimentari influenzano negativamente il controllo glicometabolico, rendendo ingravescente il decorso del diabete e determinando le complicanze croniche invalidanti a breve e a lungo termine (retinopatia, nefropatia, neuropatia).
L’associazione tra diabete mellito e disordini alimentari è caratterizzata da un controllo instabile e insoddisfacente della glicemia, poiché si riscontrano ricorrenti e gravi episodi di ipoglicemia, chetoacidosi, e una maggiore frequenza di ospedalizzazioni. Nello specifico, il diabete di Tipo 1 rappresenta un terreno fertile per lo sviluppo di un DCA sia per il tipo di popolazione interessata (i giovani) sia per alcune caratteristiche del suo trattamento standard (terapia insulinica e alimentare, attività fisica).
In particolare, avere il diabete rende più vulnerabili ai DCA in quanto implica un’attenzione costante all’alimentazione che crea spesso una preoccupazione (talvolta un’ossessione) nei confronti del cibo, che può essere vissuto come pericoloso, come qualcosa da evitare piuttosto che da moderare. Inoltre, il tipico comportamento assunto dal giovane diabetico con DCA, è quello di manipolare il dosaggio insulinico, riducendo o addirittura sospendendo la terapia insulinica al fine di provocarsi vomito, glicosuria e conseguente calo del peso.
È molto diffusa l’opinione secondo cui l’insulina determina un aumento del peso corporeo, per cui la sospensione dell’insulinoterapia è spesso praticata per promuovere una riduzione del peso. Alcuni ricercatori desumono, quindi, che il diabete faciliti lo sviluppo di disturbi del comportamento alimentare poiché i pz, rivolgendo un elevato interesse sul conteggio dei carboidrati per gestire efficacemente la loro patologia, sono più predisposti a incorrere in quella “fobia per i carboidrati” contraddistinta dall’intenso timore di ingrassare anche quando si è sottopeso, che costituisce uno dei criteri diagnostici per redigere una diagnosi di anoressia nervosa. I pazienti affetti da diabete mellito, possono per di più rifiutarsi di mangiare dopo aver somministrato l’insulina, alterare il diario glicemico ed altri esami, tentando di manipolare il Team diabetologico facendo leva sulla loro condizione clinica.
Accanto a un preciso programma di terapia diabetologica e dietetica, si rendono perciò necessari interventi psicologici a carattere individuale e di gruppo, soprattutto nei soggetti di più giovane età, psicoterapie di tipo familiare e, in casi ben selezionati, terapie psicofarmacologiche.

Dott. Sapone Rosario A.

 

La corretta alimentazione

Specie da quando gli americani hanno scoperto, in Calabria, i vantaggi in termini di malattie e di sopravvivenza, della dieta mediterranea il concetto di sana e corretta alimentazione ha subito un’accellerazione  improvvisa determinando, nella cultura globale, una nuova presa di coscienza. Ma proprio perché se ne parla molto spesso si danno per scontati alcuni concetti che si conoscono poco rischiando di recepire informazioni approssimative o addirittura errate.
Con questo articolo intendiamo fare il punto si argomenti semplici , quotidiani e che non possono essere ignorati se vogliamo praticare un’alimentazione corretta e salutare.

L’ALIMENTAZIONE è un’esigenza primaria; è la risposta fisiologica al bisogno energetico e costruttivo dell’organismo offrendo all’organismo stesso le sostanze indispensabili per la vita.
E’ cultura e tradizione,piacere,mezzo di comunicazione.Il termine dieta significa stile di vita ed è cosciente e volontaria a differenza della nutrizione.

LA NUTRIZIONE
Inizia con la digestione degli alimenti, continua con il trasporto intestinale e prosegue con l’utilizzo dei nutrienti ed è il processo con cui vengono messe a disposizione dell’organismo l’energia e i nutrienti contenuti negli alimenti.
La nutrizione dipende dall’alimentazione.
Conoscere gli alimenti è indispensabile per una corretta nutrizione.

GLI ALIMENTI
Sono sostanze in grado di essere assimilate da un essere vivente e di fornirgli nutrimento. Negli alimenti sono contenuti i nutrienti indispensabili per la nostra vita.
 I NUTRIENTI
Sono principi presenti negli alimenti che apportano:
– energia
– materiale di costruzione
– sostanze regolatrici

LA DIETA DEVE
Contenere tutti i nutrienti essenziali:

•Proteine: dal 12 al 18% delle calorie totali (la % varia in base alla quantità nella dieta di proteine nobili e vegetali) e ad eventuali patologie associate;

•Lipidi: intorno al 30% (+/- 3%) delle calorie totali ;

•Carboidrati: circa il 55% (+/- 3%) delle calorie totali;

•Fibre: (specie quelle idrosolubili)  pari a 20-30 g/die;

•Vitamine, sali minerali;

•Acqua;

• Alcool.
Distribuzione delle calorie durante la giornata fra i vari pasti

Prima colazione = 20 % delle calorie totali giornaliere.

La colazione dovrebbe fornire un quantitativo di energia sufficiente per affrontare la prima parte della giornata. Deve essere il più varia possibile. I genitori dovrebbero essere d’esempio.

Spuntino del mattino = 10 % delle calorie totali giornaliere. A base di alimenti facilmente digeribili.

Pranzo = 35-40 % delle calorie totali giornaliere. Gli alimenti energetici (carboidrati e lipidi) devono prevalere su quelli plastici (proteine). Ottimi i piatti unici. (esempi di piatti unici: riso e ceci, pasta e lenticchie, riso e fagioli, insalata di riso, sformato di patate e formaggio, pasta al forno, gnocchi al ragù, pasta con passato di legumi, etc)
Merenda pomeridiana = 5-10 % delle calorie totali giornaliere. La merenda migliore è a base di frutta di stagione.
Cena = 30-35 % delle calorie totali giornaliere. Deve assicurare un pasto completo, equilibrato nei principi nutritivi e nelle calorie.
Proposte per la cena: 1) pasta, secondo piatto, contorno di verdura, pane 2) secondo piatto, patate, contorno di verdura, pane 3) piatto unico, verdura, pane

Lo spuntino

Lo spuntino (o fuoripasto o snack o merendina) è un alimento che si consuma  in breve tempo  tra i pasti principali.
Si utilizzano di solito spuntini commerciali: di pronto uso, preconfezionati in monoporzioni, a media o lunga conservazione, dolci o salati, costituiti da prodotti da forno e dolciari anche se sono preferibili alimenti come frutta o preparati in casa. Le materie prime utilizzate sono: farina, latte, zucchero, grassi animali e vegetali, uova, marmellata, cioccolato.

Fornisce: energia prontamente utilizzabile. I nutrienti principali sono: glucidi o zuccheri o carboidrati .
CALORIE PER G 100 DI ALIMENTO

CALORIE PER G 100 DI ALIMENTO

Alimento                  proteine –   lipidi –   zuccheri  –  calorie
Banana                          1,2             0,3           15,4              65
Mele senza B               0,3            0,1            13,7             38
Pane tipo 0                  8,1             0,5           63,5           275
Panini all’olio             7,7            5,8           57,5          299
Prosciutto crudo    25,5         18,4                 0          268
Prosciutto crudo   27,5          3,9                  0          145   senza grasso visibile 
Mortadella              14,7         28,1               1,5         317
Yoghurt L I              3,8            3,9                4,3          66
Formaggino          11,2           26,9               6            309
Wafer cioccolato   8,2         26,6             60,3        498
Torta Margherita  8,9         10,4             63,4        367

Merenda 1

Panino con prosciutto crudo magro ( pane g 50, prosciutto due fettine)
 
Proteine          g 15 (30%)
Lipidi                g   2 (  9%)
Carboidrati    g 32 (61%)
Kcal.                    209
 

Merenda 2

1 croissant o 1 brioche

Proteine           g  3 (7%)
Lipidi                g  9 (38%)
Carboidrati    g 29 (55%)
Kcal.                     214
Tra la merenda di tipo 1 e quella di tipo 2 non vi sono differenze di contenuto calorico, né di apporto di carboidrati; significativamente diversi sono invece il contenuto proteico e quello lipidico, per cui lo spuntino di tipo 2 avrà un effetto saziante inferiore a quello dello spuntino di tipo 1.

note integrative alla dieta

premesse

Gli effetti di una dieta non si misurano solo a breve termine in relazione alla diminuzione (o, a seconda dei casi, all’aumento) di peso conseguente al rispetto delle quantità alimentari proposte. Il vero successo di una dieta lo si misura nel lungo termine, con il mantenimento del peso conseguito. La dieta dovrebbe infatti essere occasione per conoscere e adottare uno stile alimentare che possa essere seguito indefinitamente perché adeguato ai bisogni nutrizionali, alle abitudini, alla cultura e all’appagamento del gusto individuali. Uno stile alimentare diverso per ognuno, ma rispettoso di 3 regole:
•       varietà alimentare: non si devono eliminare interi gruppi alimentari dalla dieta, ma bisogna assaggiare di tutto
• sobrietà: le porzioni devono essere sempre moderate. Solo la verdura è libera nelle quantità
• attività fisica: praticare attività fisica ,oltre a bruciare calorie, mantiene la macchina metabolica in buone condizioni di funzionamento

 il frazionamento dei cibi

A seconda delle abitudini individuali, l’assunzione degli alimenti può essere frazionata anche in modo diverso dalla distribuzione proposta. In ogni caso è importante:
• frazionare l’alimentazione su 5 pasti: 3 pasti principali (colazione, pranzo e cena) intervallati da 2 spuntini
• scegliere spuntini poco energetici: principalmente frutta e yogurt magro
• iniziare sempre la giornata con una buona colazione sia per avere l’energia nel momento in cui occorre sia per non arrivare troppo affamati a pranzo.

Brevi note su alcuni alimenti:
• primi piatti: generalmente a base di cereali (es. pasta di semola, riso) e perciò ricchi di amido (e quindi di zuccheri). La pasta contiene anche proteine che raggiungono il massimo valore nutrizionale quando sono unite a quelle dei legumi (come nel caso di preparazioni che per la loro completezza si prestano ad essere utilizzate come piatti unici: es. riso e piselli, pasta e fagioli, tagliatelle e piselli). La pasta può essere cotta -oltre che in acqua- anche in brodo vegetale o in brodo di carne sgrassato. I condimenti preferibili sono la passata di pomodoro oppure l’olio extravergine di oliva a crudo (rispettare le quantità giornaliere complessive!). Può essere utilizzato ragù vegetale oppure di carne magra (senza soffritto).
• carni: apportano proteine di elevato valore e ferro nella forma che meglio viene assorbita
• legumi: sono ricchi di proteine e, insieme al pesce, ai latticini e alle uova, costituiscono una valida alternativa alla carne.
• pesce: è ricco di proteine di ottima qualità e di grassi essenziali.
• formaggi: alimenti di notevole valore nutrizionale per le proteine di elevata qualità e il calcio. sono però anche ricchi di grassi e apportano una notevole energia: sono pertanto da consumare nelle frequenze e nelle quantità indicate nella dieta e prediligendo i formaggi magri (i formaggi più magri sono la ricotta e i fiocchi di latte)
• uova: alimento importante per la presenza di proteine di elevata qualità e il basso apporto calorico (1 uovo, pari a 60 g, apporta solo 78 kcal. E’ però anche ricco di colesterolo: 1 uovo ne contiene 230 mg, un valore non lontano dall’apporto giornaliero massimo raccomandato (300 mg). sono pertanto da consumare con moderazione nelle frequenze e nelle quantità indicate nella dieta
• il prosciutto crudo o cotto sgrassati e la bresaola possono costituire valide alternative da utilizzare -con le frequenze indicate- nei pasti principali (come alternativa alla carne) e negli spuntini. In tutti i salumi la quantità di sale è elevata.
• frutta: può essere consumata cruda ben matura, cotta in acqua o al forno, frullata, spremuta, confezionata sotto forma di macedonia senza aggiunta di zucchero. Banane, kaki, fichi, uva sono particolarmente ricchi di zuccheri e quindi devono essere utilizzate in porzioni moderate.
• verdura: può essere consumata cruda, cotta in acqua o al forno, sotto forma di passato oppure di purea. I quantitativi di verdura riportati nella dieta sono puramente indicativi: la verdura infatti –grazie al basso potere calorico (e l’alto apporto di fibre)- può essere consumata a volontà.
• patate: si differenziano dagli altri prodotti vegetali per la ricchezza in amido (e, quindi, in zuccheri) e in questo sono simili al pane e ai cereali (di cui, infatti, costituiscono l’alternativa) 
• pane: ricco di amido, ha un potere energetico lievemente inferiore a quello della pasta
• pizza: è un piatto unico abbastanza calorico. Non deve essere consumata più di una volta alla settimana scegliendo le tipologie meno elaborate (es. margherita o napoletana)
• condimenti e aromi:
olio: usare preferibilmente olio extravergine d’oliva. L’olio indicato nella dieta è comprensivo di tutto quello utilizzato nella giornata, sia utilizzato per i condimenti sia presente come ingrediente (es. ragù). Non usare olio di semi vari. Può comunque essere usata una piccola quantità di burro in sostituzione dell’olio.
sale: usare poco sale ed esclusivamente del tipo jodato.
dadi per brodo: utilizzo da concordare con la dietista
aromi consentiti: aceto, aglio, basilico, limone, origano, prezzemolo, rosmarino, salvia.
• liquidi:
acqua: si raccomanda di bere almeno 1,5 litri di acqua al di (pari a circa 10 bicchieri). Ricordare di bere sorseggiando con calma.
vino: un modico consumo di vino rosso migliora il colesterolo HDL (colesterolo    buono) e riduce il rischio cardiovascolare.
altre bevande consentite: acqua minerale naturale o gassata, infusi non zuccherati di camomilla, carcadè, orzo, thé.

Fonte:
Linee Guida per una sana alimentazione (Ist.Nazionale Nutrizione 1986)

 

Celiachia

                            Scopriamo cosa sono le intolleranze alimentari

Prima di trattare in termini psico-sociali le problematiche riguardanti le intolleranze alimentari ed in particolar modo il morbo celiaco, si rende opportuno definire le stesse in campo medico.
In biologia si definisce intolleranza l’insieme delle reazioni che un soggetto oppone ad un agente o sostanza che il suo organismo considera estranea e che, solitamente, è invece tollerata degli altri individui1.
In presenza di un individuo intollerante accade che, quando un antigene (o sostanza) alimentare, superata la barriera intestinale, scatena una anormale risposta di ipersensibilizzazione, si genera quella reazione che viene definita intolleranza. Le intolleranze alimentari possono avere, oppure non avere, una base immunologia.
I meccanismi non immunologici riconosciuti includono:
· carenze enzimatiche, come nel caso dell’intolleranza al latte, che non viene digerito a causa di un deficit dell’enzima della lattasi intestinale o del favismo, per la mancanza dell’enzima glucosio 6 fosfato  deidrogenasi;
· effetti farmacologici, come i sintomi (tachicardia, cefalea…) prodotti dalla caffeina e dalla teina;
· effetto indiretto causato dalla fermentazione nel colon di residui di cibo non assorbiti;
· effetto irritante sulla mucosa interna del tratto gastrointestinale:
· reazioni pseudoallergiche, che producono sintomi a quelli generati da reazioni Ig E mediate (orticaria, angioedema).

I meccanismi di natura immunologica (ai quali appartiene la celiachia) sono di quattro tipi:
· Ig E mediate;
· da anticorpi;
· da immunocomplessi;
· cellulo-mediate.

<B>Differenze tra allergia e intolleranza</B>
Nel linguaggio comune, si suole parlare indistintamente di allergia o intolleranza alimentare come se fossero la stessa cosa.
In realtà, nei due casi, sussistono alcune differenze a livello soprattutto biologico.
L’allergia, infatti, è provocata da una alterazione del sistema immunitario che provoca una risposta negativa, da parte dell’organismo, nei confronti di talune sostanze. Nella intolleranza, invece, non vi è alcun meccanismo immunologico alla base, sebbene la sintomatologia (vomito, diarrea dimagrimento, dermatite, asma) sia simile.
Nell’allergia i sintomi compaiono di solito a partire dai trenta minuti fino alle ventiquattro ore dall’ingestione dell’agente allergizzante. Solo in rari casi, i problemi compaiono già dopo pochi secondi.
Nella intolleranza, invece, la comparsa dei sintomi è più lenta e di solito essi si scatenano con l’ingestione di dosi maggiori di alimento.
Le allergie risultano essere meno frequenti delle intolleranze: si stima che lo 0,5% della popolazione italiana sia affetto da allergie ed il 20% da intolleranza.
In alcuni casi, sia le intolleranze che le allergie tendono a scomparire soprattutto nei bambini, dopo un periodo di ferrea dieta.
È il caso, per esempio dell’intolleranza al latte dalle quale, il più delle volte si guarisce, o della celiachia, che è, invece, una intolleranza permanente al glutine.

<B>…e loro diffusione</B>
Per quanto riguarda la diffusione delle allergie e delle intolleranze alimentari in Italia, si stima che la percentuale della popolazione che presenta problemi nei confronti di uno o più alimenti tende ad aumentare, forse anche in relazione alle manipolazioni che i cibi subiscono. Potenzialmente ogni cibo può provocare reazioni anomale. Spesso la diffusione di una data intolleranza in una determinata area geografica, dipende anche dalle abitudini alimentari vigenti in quella zona.
Molte delle intolleranze alimentari, soprattutto quelle che colpiscono i bambini, scompaiono spontaneamente per non ripresentarsi più, dopo un periodo di ferrea dieta nei confronti dell’alimento che crea problemi.
Non è questo il caso di intolleranze più importanti, quale è ad esempio la celiachia definita, appunto, intolleranza permanente al glutine.
L’intolleranza più frequente in assoluto sul territorio nazionale è quella al latte, che colpisce soprattutto i bambini. Ad essa si associano problemi di digeribilità anche verso i formaggi e altri alimenti direttamente derivati dal latte.
Molto meno diffusa risulta essere l’intolleranza al glutine, ma i dati relativi ad essa saranno analizzati in una delle prossime pagine.
Numerosi anche i frutti che possono creare problemi all’organismo.
Sono, nell’ordine: la mela, la pesca, il kiwi, le fragole, le albicocche, senza dimenticare che molti altri alimenti, tra i quali le uova, la frutta secca, il lievito… creano sovente reazioni anomale dell’organismo.

<B>Sintomatologia, diagnosi e prospettive di cura</B>
Nella maggior parte delle intolleranze, i sintomi principali sono a carattere esantematico o gastrointestinale. Nel primo caso, il corpo, ed in particolar modo il viso ed il torace, si ricoprono di eczemi e macchie che il più delle volte provocano prurito. Nei casi più gravi si verificano gonfiore e pericolo di soffocamento, se la zona interessata è vicina alla gola, fino al pericoloso shock anafilattico.
Nel secondo caso, la reazione al cibo ingerito riguarda l’apparato digerente e, quindi, stomaco ed intestino, con comparsa di frequenti episodi di vomito, diarrea e conseguente dimagrimento ed alterazione dei normali valori del sangue.
A questi due grandi gruppi di sintomi, se ne affiancano numerosi altri, più sfumati, ma non per questo meno frequenti. Citiamo, ad esempio, la rinite, cioè l’infiammazione della mucosa del naso accompagnata da raffreddore e tosse o l’asma, stato di malessere caratterizzato da respiro affannoso e sibilante, fame d’aria, impossibilità di compiere sforzi fisici.
A questa sintomatologia, possono inoltre aggiungersi altri e vari problemi: gonfiori addominali, stanchezza cronica, mal di testa, otite sierosa, disturbi del comportamento.
Proprio a causa della numerosità e rassomiglianza dei sintomi, risulta quasi sempre complicato stabilire a quale, o quali, alimenti si sia effettivamente intolleranti.
Sarà compito dello specialista interpellato (allergologo, pneumologo, dermatologo, gastroenterologo a seconda degli organi interessati dalle reazioni allergiche) invitare il paziente ad escludere e a reinserire nella dieta personale alcuni alimenti considerati a rischio e, poi, a sottoporsi ad alcuni esami di laboratorio necessari per una diagnosi sicura e veloce.
Nel caso si sospetti un’intolleranza più rara e seria, quale la celiachia, occorre sottoporsi ad altri specifici esami sul sangue, cioè la ricerca degli anticorpi AGA ed EMA e degli anticorpi anti transglutaminasi tissutale, ai quali va affiancata, per una diagnosi assolutamente certa, la biopsia dei villi intestinali. Ma di questo si parlerà più specificatamente nel paragrafo dedicato al morbo celiaco.
Per quanto riguarda le prospettive di cura, relativamente alle intolleranze alimentari, si è detto che alcune di esse passano spontaneamente dopo un periodo più o meno prolungato durante il quale si esclude dalla propria dieta l’alimento mal tollerato.
In altri casi, l’intolleranza è permanente e, a meno che non si arrivi alla preparazione di un vaccino specifico, per ora l’unica cura possibile è l’astensione totale dal mangiare l’alimento incriminato.

                         Di intolleranza si muore: la celiachia
La celiachia, (il termine deriva dal greco e significa ‘cavità’, in senso lato, quindi, cavità intestinale) conosciuta anche come morbo celiaco, o più semplicemente intolleranza al glutine, è una sindrome da mal assorbimento. Accade che alcune persone non riescano a tollerare il glutine, che è una proteina contenuta principalmente nella farina di grano, ma anche nell’orzo, molto probabilmente nell’avena, anche se le analisi effettuate ancora non hanno dato modo di stabilire se essa sia davvero un alimento vietato ai celiaci, nel malto, in molti tipi di amido e in tutti quegli alimenti che contengano anche in minima quantità una delle sostanze citate, non perché esse manchino dell’enzima adatto alla sua digestione (come accade a chi è intollerante al latte), ma perché le cellule che compongono il rivestimento interno del loro intestino sono sensibili ad una porzione (la frazione gliadinica) della proteina del glutine e non riescono perciò ad assorbirla.
I sintomi della celiachia appaiono principalmente durante lo svezzamento e cioè dopo aver introdotto i primi cibi solidi che contengono glutine nella dieta del lattante. Non è difficile, però, che persone adulte, sofferenti di magrezza eccessiva o di qualche malessere cronico non ancora identificato, si scoprano affette da morbo celiaco.
I sintomi più evidenti dell’intolleranza al glutine sono la presenza di diarrea maleodorante e di aspetto untuoso, vomito, inappetenza, calo ponderale, bassa statura, stato generale di denutrizione, seria debilitazione, diabete, osteoporosi, amenorrea, sterilità. In alcuni casi la celiachia è stata riscontrata in bambini con Sindrome di Down. Quando il morbo celiaco non viene diagnosticato in tempo, in special modo nei bambini molto piccoli, può portare alla morte. Al di là di questi sintomi più evidenti ve n’è un altro, tipico della celiachia, che anche per questo si differenzia dalle altre intolleranze alimentari: l’ingestione di glutine porta, nel soggetto celiaco, all’appiattimento e alla distruzione dei villi intestinali che, se sottoposti di frequente all’azione del glutine, possono ricrescere in modo anomalo fino a sviluppare forme tumorali allo stomaco e all’intestino.
Si stima che in Italia la celiachia abbia un’incidenza media sullo 0,5% della popolazione, sebbene ci siano regioni in cui i casi di celiachia registrati sono più numerosi e zone in cui essa risulta essere pressoché sconosciuta.
Per eliminare i sintomi e tornare ad un quadro clinico normale, il paziente celiaco non può fare altro che eliminare totalmente, dalla sua dieta, tutto ciò che possa contenere glutine, anche in minima quantità.
Per avere la diagnosi di celiachia, è necessario rivolgersi allo specialista in gastroenterologia che, dopo un’accurata anamnesi, prescriverà gli opportuni esami del sangue (ricerca degli anticorpi AGA ed EMA e degli anticorpi antitransglutaminasi tissutale).
Gli anticorpi AGA sono immunoglobuline prodotte a livello della mucosa intestinale e dei linfonodi mesenterici, che si trovano nel siero di oltre il 90% dei celiaci. Ancora più affidabile è la ricerca degli anticorpi EMA, ossia degli anticorpi antiendomisio rivolta alla classe Ig A la cui presenza è evidenziata mediante immunofluorescenza.
Recentemente si è anche dimostrato che gli auto-anticorpi riconoscono quale antigene la transglutaminasi tissutale. In caso di risultato negativo di questi esami o comunque in presenza di una sintomatologia che lasci presupporre la presenza dell’intolleranza al glutine, occorre effettuare il prelievo, tramite gastroscopia, dei villi intestinali, che saranno quindi sottoposti ad esame istologico.
Quest’ultimo è l’unico esame, allo stato attuale delle ricerche, in grado di dare l’assoluta certezza di diagnosi di morbo celiaco: infatti quando i villi risultano assenti, atrofizzati o di forma inconsueta, trattasi sicuramente di paziente affetto da celiachia.
A causa della natura predisponente al cancro e non essendoci al momento alcuna cura o vaccino atto a debellare la patologia, i pazienti sono costretti a seguire per tutta la vita una rigorosa dieta senza glutine: ciò consente il ripristino sia della normale architettura dei villi intestinali, sia delle funzioni mucosali.
Il mantenimento di una tale dieta non è comunque cosa semplice, considerando che piccole quantità di glutine sono state identificate in fonti non sospette, quali il caffè, spesso arricchito con orzo o lo zucchero a velo che di sovente contiene amido.
Tale dieta inoltre rappresenta una restrizione abbastanza forte alla normale alimentazione, il che giustifica gli sforzi degli addetti ai lavori tesi a trovare strategie alternative alla completa esclusione del glutine dal cibo.
                                             La dieta senza glutine
Per meglio comprendere quelle che sono le difficoltà di integrazione sociale che il soggetto celiaco può incontrare e i disagi che egli deve affrontare, è necessario presentare con precisione in che cosa consiste la dieta senza glutine e quali sono le limitazioni che essa comporta.
Penso che, a tale scopo, sia interessante considerare l’elemento cibo anche da un punto di vista antropologico.
L’antropologa inglese Mary Douglas (Londra 1913 – Nairobi 1996), definiva il cibo come “un rituale, i cui significati, condivisi da una collettività, vengono confermati e difesi”3.
Infatti, si può ben affermare che l’esclusione del glutine e, in senso più ampio, della farina di frumento dalla dieta, assume certamente aspetti differenti relativamente all’uso che di questa proteina fa la popolazione cui ci si riferisce.
Nei Paesi Nord-Europei, ad esempio, l’utilizzo della farina di grano è limitata alla preparazione di pochissimi alimenti: se da un lato, dunque, la celiachia è pressoché sconosciuta, è pur vero che i pochissimi soggetti che ne sono affetti non risentono in alcun modo delle limitazioni alimentari cui vanno incontro.
In Italia, invece, dove l’alimentazione è basata essenzialmente su pasta, pane e pizza, il problema celiachia finisce per divenire un problema di cultura alimentare e di costume sociale, più che di interesse medico.
Per definire meglio quanto detto, pensiamo a come potrebbe sentirsi un ragazzo italiano, tutto pizzeria, birra e fast-food, se dovesse scoprire di non tollerare il riso: dopo un breve momento di stupore, potrebbe ricordarsi che il riso, in fondo, non gli è mai piaciuto e che, sicuramente, non ne sentirà la mancanza.
Al cibo, anche per le persone senza alcun problema alimentare, non si riconosce mai il solo significato biologico.
Non vi è alcuna società umana che considera il cibo da un punto di vista puramente alimentare o della sua commestibilità: al cibo, infatti, si ricollegano valori complessi ed ideologie religiose.
Il cibo riveste anche una funzione simbolica: esso cioè ha il compito di fungere da sistema di riconoscimento.
Sono questi i motivi per cui un popolo spesso si riconosce e si identifica nelle tradizioni culinarie che lo contraddistinguono.
Partendo, dunque, da questi presupposti è facile comprendere come mai il soggetto intollerante non trovi risposta al suo problema nelle istituzioni e nei luoghi di ristorazione: il soggetto che necessita di una dieta senza glutine, e dunque di una dieta particolare, è a sua volta considerato particolare, di una particolarità non sempre compresa.
Mi spiego: una società capace di far propria la dieta vegetariana, quella macrobiotica, quella bio e così via, non accetta invece quella gluten-free per il semplice motivo che allontanarsi da un alimento importante, come è la farina nell’alimentazione nostrana, può apparire come una perdita di identità verso il proprio gruppo di appartenenza: qualunque cosa che abbiamo in comune con il resto del gruppo, infatti, sia esso il cibo, il modo di vestire o i luoghi da frequentare, ci rende partecipi di quel gruppo e, di conseguenza, ogni motivo di diversità, acuisce l’ansia di essere estranei al gruppo e, per questo, non accettati dai componenti dello stesso.
Questa estraneità socio-culturale potrebbe essere in parte superata se il paziente accettasse il suo essere ‘soggetto celiaco’ e si adoperasse per affrontare e, quindi, vivere al meglio la sua situazione, adeguandosi ad uno stile di vita che certamente lo preserverebbe da successivi e più seri problemi.
In base a quanto detto finora risulta forse più chiaramente quale sia la natura delle problematiche psico-sociali che si può trovare ad affrontare un soggetto con una intolleranza alimentare come quella al glutine.
L’uomo ha vissuto per millenni senza glutine ed i suoi pasti erano a base di prodotti che gli offriva la terra o di ciò che riusciva a ricavare dalla caccia e dalla pesca.
Oggi lo scenario gastronomico è totalmente diverso e senza dubbio, i condizionamenti che la vita sociale ci impone anche a tavola, creano non poche difficoltà a chi deve attenersi ad una dieta senza glutine: “il pane, da sempre simbolo di abbondanza e ricchezza diviene, nel soggetto celiaco, immagine di tutto ciò che egli deve, per vivere bene, assolutamente escludere dalla sua dieta”.
Onde evitare che il paziente celiaco, soprattutto quello più predisposto alla depressione, possa risentire troppo negativamente della sua situazione di ”privazioni” è dunque necessario che egli, dal momento in cui viene diagnosticato intollerante al glutine, impari a nutrirsi non solo con prodotti dietoterapeutici, ma anche e specialmente con cibo naturalmente privo di glutine, così da incontrare meno difficoltà di adattamento anche qualora dovesse trovarsi a mangiare fuori casa.

Pranzi senza glutine
Avendo precedentemente scritto che il soggetto celiaco, per raggiungere e mantenere un soddisfacente quadro clinico, deve scrupolosamente seguire per tutta la vita una dieta priva di glutine, è ora opportuno soffermarci ad analizzare i motivi per cui può risultare assai difficile rispettare tale dieta, definendo, subito dopo, aspetti positivi e negativi della partecipazione a pranzi totalmente “esenti da glutine”.
Il momento del pranzo o della cena è da sempre considerato importante, perché è il momento in cui un gruppo (sia esso formato da familiari, da amici o da colleghi di lavoro) si riunisce intorno ad uno stesso tavolo per condividere, oltre alle portate, anche idee, impressioni, timori…
Estremizzando il concetto, si potrebbe affermare che il soggetto celiaco non potendo condividere il menù degli altri, può risentirne e sentirsi escluso non solo dal pasto, ma anche dalle idee e dai discorsi che i commensali sostengono.
Oggi, grazie a una migliore conoscenza del problema celiachia, al maggiore interessamento dei gestori dei luoghi di ristoro e, soprattutto, al costante impegno dell’associazione A.I.C., di tanto in tanto, in diversi ristoranti d’Italia, vengono organizzati pranzi e cene assolutamente gluten-free (senza glutine), ai quali sono invitati a partecipare tutti i pazienti celiaci e le persone a loro più vicine che, per una volta, mangeranno come se fossero celiaci, condividendo con il celiaco “vero” non solo le chiacchiere, ma anche il pasto.
Naturalmente, tali iniziative sono accolte con grande gioia dai celiaci.
In queste occasioni, infatti, essi si sentono pienamente liberi dall’eccessiva attenzione che devono porre a tutto ciò che mangiano e dall’inevitabile timore che il cuoco, nel preparare le pietanze, abbia potuto involontariamente ‘contaminare’ l’insalata mista con polvere di farina sfuggita alla sua attenzione.
Durante questi incontri, inoltre, è naturale parlare con molta serenità e senza la paura di essere fraintesi del proprio problema, considerato che tutti i presenti conoscono bene l’intolleranza al glutine.
Sicuramente, poi, non si verrà apostrofati con frasi, in molte occasioni assai irritanti, del genere: “Ma prima o poi ti passa” o “Cosa vuoi che ti faccia ogni tanto uno strappo alla dieta?”.
Ben vengano, dunque, queste occasioni d’incontro, stando però ben attenti che esse non evidenzino, paradossalmente, invece di colmare, il divario esistente tra celiaco e non celiaci.
Infatti – mi chiedo – il voler riunire le persone intolleranti al glutine in un unico punto di ristoro non potrebbe risultare, in qualche modo, controproducente rispetto allo scopo prefissato?
Il soggetto celiaco, estremizzando ancora il concetto, non potrebbe sentirsi ancora più solo rispetto alla sua intolleranza quando, alla fine di quel pranzo organizzato, si troverà ad affrontare nuovamente il disagio di porre attenzione a ciò che mangia o di chiedere attenzione al cuoco?
L’organizzazione di questi pranzi produce, certamente, effetti positivi dal punto di vista della condivisione e della conoscenza del problema e acuisce, contemporaneamente, la speranza che a questi incontri segua una più attenta educazione ai ristoratori, ai cuochi e ai camerieri affinché il soggetto celiaco possa partecipare con gioia e senza disagio anche a quelle cene dove la gran parte dei commensali mangerà lasagne e pane fresco, sentendosi a pieno titolo uno di loro.

Dott.Giuseppe Pipicelli – Dott. Rosa Maria Bevilacqua
U.O. Serv. Territoriale Soverato

 

Una Sana Alimentazione per invecchiare in salute

                                        Combattere il colesterolo a tavola

Una alimentazione abbondante e scorretta altera l’equilibrio tra apporto calorico e necessità energetica dell’organismo. Una dieta troppo ricca di grassi provoca un innalzamento eccessivo e persistente  dei lipidi nel sangue.
Ma  che cosa è il colesterolo?
Il colesterolo è una sostanza  che circola nel sangue  in parte prodotta dal nostro fegato, in parte introdotta nel corpo attraverso l’alimentazione, è trasportata da particolari proteine chiamate  lipoproteine   quali HDL colesterolo buono  e LDL colesterolo cattivo.                                                                                               Il colesterolo svolge nell’organismo un ruolo molto importante, ma alti livelli nel sangue possono risultare dannosi.                                                                                                               Per questo motivo, ridurre il colesterolo è un passo importante per mantenere in salute il cuore.
Spesso  dopo aver ritirato il referto degli esami del sangue  diciamo:” Ho il colesterolo” Tutti l’abbiamo, e non potremmo farne a meno, il problema deve  sorgere quando la sua concentrazione  supera un certo valore  (si chiama ipercolesterolemia).   
Indicazioni per la valutazione dei valori del colesterolo nel sangue:
Classe di colesterolo
                                    

                                Valori  Classificazione
Colesterolemia totale (mg/dl)   < 200   Valore desiderabile
                                200-239 Valore borderline
                                ≥240    Valore elevato
Colesterolemia HDL (mg/dl)      >50     Valore desiderabile

Il colesterolo in eccesso tende a depositarsi sulle pareti delle arterie formando delle incrostazioni dette placche aterosclerotiche, che impediscono il normale flusso di sangue e quindi il nutrimento dei tessuti dell’organismo che può causare un evento temporaneo (ischemia) o di lunga durata (infarto, con danni permanenti all’organo stesso).

Quali sono i fattori di rischio?
Sono molti i fattori che influenzano il benessere del nostro cuore. Alcuni di questi non possono essere modificati (come l’età e l’ipercolesterolemia familiare), ma per altri possiamo fare molto (fumo obesità, alimentazione ecc.).
Cosa puoi cambiare:                                    

Il livello di colesterolo nel sangue
La pressione sanguigna
Il fumo
Il peso
L’attività fisica
Lo stress
La tua alimentazione
Il consumo di alcol

 

Cosa non puoi cambiare

La tua età
La tua storia familiare o personale
Fattori etnici
Il genere (maschio/femmina)
 
L’alimentazione svolge un ruolo importante  nella prevenzione dei danni dovuti all’eccesso di colesterolo?
Il colesterolo è contenuto solamente in cibi di derivazione animale che sono tutti cibi ricchi di grassi saturi. Il tuorlo dell’uovo e le interiora – come fegato e polmoni – in particolare, contengono molto colesterolo. I cibi di derivazione vegetale (frutta, verdura, cereali) non contengono colesterolo.       La quantità di colesterolo introdotto con la dieta non dovrebbe superare i 300 mg al giorno. Anche la vita sedentaria può contribuire ad accrescere i valori del colesterolo.
Quali regole seguire?

1. Una buona regola cuocere gli alimenti senza  usare condimenti grassi (quindi no alle fritture) possiamo utilizzare la griglia o la piastra, oppure cuocere al cartoccio o al vapore.
2. Vanno limitati – se non  eliminati del tutto- burro, lardo, le salse; meglio un cucchiaio di olio d’oliva crudo, se temete che le vostre pietanze perdono di gusto, provate a utilizzare, in alternativa ai grassi, le erbe aromatiche; ne esistono tantissime e sono molto saporite. Qualche esempio? La menta, l’origano, il timo.
3. Preferire la carne “bianca” pollo, tacchino, coniglio – alle carni più grasse, come quella di maiale (comprese salsiccie, pancetta, prosciutto con grasso, salame), di anatra e di oca; fra i salumi, meglio la bresaola o il prosciutto magro, ricordarsi di eliminare dalla carne sia la pelle che le altre parti grasse.
4. Il pesce può rappresentare una sana alternativa alla carne è nutriente e non contiene grassi dannosi (grassi saturi). Mangiatelo spesso; gli acidi grassi polinsaturi presenti nel pesce abbassano il tasso di trigliceridi nel sangue, svolgono un’azione antitrombotica e sono ottimi antiaritmici. Almeno 3/4 pasti alla settimana dovrebbero essere a base di pesce (ovviamente cucinato in modo adeguato, cioè alla griglia, arrosto, bollito, al vapore, escludendo invece i fritti)
5. Le uova sono molto ricche di colesterolo; il loro uso è quindi da limitare; stesso discorso per gli alimenti nella cui preparazione vengono impiegate uova, come pasta, maionese, creme, torte eccetera.
6. A proposito di latticini, meglio il latte scremato di quello intero (lo stesso vale per lo yogurt) la panna va lmitata così come i formaggi grassi ( taleggio, gorgonzola); bene invece i formaggi cosiddetti magri (ricotta vaccina, fiocchi di latte).
7. Qualcuno, demoralizzato, può chiedere con un certo risentimento; “Ma che cosa ci resta da mangiare?” Molti alimenti frutta e verdura a volontà purchè crude o cotte senza condimenti sospetti , pasta e riso – anche in questo caso non bisogna esagerare con i sughi – pane bianco o integrale con moderazione e…, molta acqua naturale. 
8. Infine ma non meno importante l’Attività fisica
Fare attività fisica contribuisce a normalizzare il livello del colesterolo: contribuisce a mantenere sotto controllo il peso e a “bruciare” i grassi.  E’ necessario praticare movimento in modo costante, ogni giorno.
Come controllarlo?
Per controllare i livelli si può ricorrere all’autoanalisi (con una semplice
puntura del polpastrello) si preleva una goccia di sangue che viene esaminata
da un analizzatore automatico.
Prima di effettuare il prelievo, bisogna astenersi da alcol (per 72 ore) e da
cibo (per 12 ore).
a cura di  Gabriella Violi Dietista