Celiachia

Scopriamo cosa sono le intolleranze alimentari

Prima di trattare in termini psico-sociali le problematiche riguardanti le intolleranze alimentari ed in particolar modo il morbo celiaco, si rende opportuno definire le stesse in campo medico.
In biologia si definisce intolleranza l’insieme delle reazioni che un soggetto oppone ad un agente o sostanza che il suo organismo considera estranea e che, solitamente, è invece tollerata degli altri individui1.
In presenza di un individuo intollerante accade che, quando un antigene (o sostanza) alimentare, superata la barriera intestinale, scatena una anormale risposta di ipersensibilizzazione, si genera quella reazione che viene definita intolleranza. Le intolleranze alimentari possono avere, oppure non avere, una base immunologia.
I meccanismi non immunologici riconosciuti includono:
· carenze enzimatiche, come nel caso dell’intolleranza al latte, che non viene digerito a causa di un deficit dell’enzima della lattasi intestinale o del favismo, per la mancanza dell’enzima glucosio 6 fosfato  deidrogenasi;
· effetti farmacologici, come i sintomi (tachicardia, cefalea…) prodotti dalla caffeina e dalla teina;
· effetto indiretto causato dalla fermentazione nel colon di residui di cibo non assorbiti;
· effetto irritante sulla mucosa interna del tratto gastrointestinale:
· reazioni pseudoallergiche, che producono sintomi a quelli generati da reazioni Ig E mediate (orticaria, angioedema).

I meccanismi di natura immunologica (ai quali appartiene la celiachia) sono di quattro tipi:
· Ig E mediate;
· da anticorpi;
· da immunocomplessi;
· cellulo-mediate.

Differenze tra allergia e intolleranza
Nel linguaggio comune, si suole parlare indistintamente di allergia o intolleranza alimentare come se fossero la stessa cosa.
In realtà, nei due casi, sussistono alcune differenze a livello soprattutto biologico.
L’allergia, infatti, è provocata da una alterazione del sistema immunitario che provoca una risposta negativa, da parte dell’organismo, nei confronti di talune sostanze. Nella intolleranza, invece, non vi è alcun meccanismo immunologico alla base, sebbene la sintomatologia (vomito, diarrea dimagrimento, dermatite, asma) sia simile.
Nell’allergia i sintomi compaiono di solito a partire dai trenta minuti fino alle ventiquattro ore dall’ingestione dell’agente allergizzante. Solo in rari casi, i problemi compaiono già dopo pochi secondi.
Nella intolleranza, invece, la comparsa dei sintomi è più lenta e di solito essi si scatenano con l’ingestione di dosi maggiori di alimento.
Le allergie risultano essere meno frequenti delle intolleranze: si stima che lo 0,5% della popolazione italiana sia affetto da allergie ed il 20% da intolleranza.
In alcuni casi, sia le intolleranze che le allergie tendono a scomparire soprattutto nei bambini, dopo un periodo di ferrea dieta.
È il caso, per esempio dell’intolleranza al latte dalle quale, il più delle volte si guarisce, o della celiachia, che è, invece, una intolleranza permanente al glutine.

…e loro diffusione
Per quanto riguarda la diffusione delle allergie e delle intolleranze alimentari in Italia, si stima che la percentuale della popolazione che presenta problemi nei confronti di uno o più alimenti tende ad aumentare, forse anche in relazione alle manipolazioni che i cibi subiscono. Potenzialmente ogni cibo può provocare reazioni anomale. Spesso la diffusione di una data intolleranza in una determinata area geografica, dipende anche dalle abitudini alimentari vigenti in quella zona.
Molte delle intolleranze alimentari, soprattutto quelle che colpiscono i bambini, scompaiono spontaneamente per non ripresentarsi più, dopo un periodo di ferrea dieta nei confronti dell’alimento che crea problemi.
Non è questo il caso di intolleranze più importanti, quale è ad esempio la celiachia definita, appunto, intolleranza permanente al glutine.
L’intolleranza più frequente in assoluto sul territorio nazionale è quella al latte, che colpisce soprattutto i bambini. Ad essa si associano problemi di digeribilità anche verso i formaggi e altri alimenti direttamente derivati dal latte.
Molto meno diffusa risulta essere l’intolleranza al glutine, ma i dati relativi ad essa saranno analizzati in una delle prossime pagine.
Numerosi anche i frutti che possono creare problemi all’organismo.
Sono, nell’ordine: la mela, la pesca, il kiwi, le fragole, le albicocche, senza dimenticare che molti altri alimenti, tra i quali le uova, la frutta secca, il lievito… creano sovente reazioni anomale dell’organismo.

Sintomatologia, diagnosi e prospettive di cura
Nella maggior parte delle intolleranze, i sintomi principali sono a carattere esantematico o gastrointestinale. Nel primo caso, il corpo, ed in particolar modo il viso ed il torace, si ricoprono di eczemi e macchie che il più delle volte provocano prurito. Nei casi più gravi si verificano gonfiore e pericolo di soffocamento, se la zona interessata è vicina alla gola, fino al pericoloso shock anafilattico.
Nel secondo caso, la reazione al cibo ingerito riguarda l’apparato digerente e, quindi, stomaco ed intestino, con comparsa di frequenti episodi di vomito, diarrea e conseguente dimagrimento ed alterazione dei normali valori del sangue.
A questi due grandi gruppi di sintomi, se ne affiancano numerosi altri, più sfumati, ma non per questo meno frequenti. Citiamo, ad esempio, la rinite, cioè l’infiammazione della mucosa del naso accompagnata da raffreddore e tosse o l’asma, stato di malessere caratterizzato da respiro affannoso e sibilante, fame d’aria, impossibilità di compiere sforzi fisici.
A questa sintomatologia, possono inoltre aggiungersi altri e vari problemi: gonfiori addominali, stanchezza cronica, mal di testa, otite sierosa, disturbi del comportamento.
Proprio a causa della numerosità e rassomiglianza dei sintomi, risulta quasi sempre complicato stabilire a quale, o quali, alimenti si sia effettivamente intolleranti.
Sarà compito dello specialista interpellato (allergologo, pneumologo, dermatologo, gastroenterologo a seconda degli organi interessati dalle reazioni allergiche) invitare il paziente ad escludere e a reinserire nella dieta personale alcuni alimenti considerati a rischio e, poi, a sottoporsi ad alcuni esami di laboratorio necessari per una diagnosi sicura e veloce.
Nel caso si sospetti un’intolleranza più rara e seria, quale la celiachia, occorre sottoporsi ad altri specifici esami sul sangue, cioè la ricerca degli anticorpi AGA ed EMA e degli anticorpi anti transglutaminasi tissutale, ai quali va affiancata, per una diagnosi assolutamente certa, la biopsia dei villi intestinali. Ma di questo si parlerà più specificatamente nel paragrafo dedicato al morbo celiaco.
Per quanto riguarda le prospettive di cura, relativamente alle intolleranze alimentari, si è detto che alcune di esse passano spontaneamente dopo un periodo più o meno prolungato durante il quale si esclude dalla propria dieta l’alimento mal tollerato.
In altri casi, l’intolleranza è permanente e, a meno che non si arrivi alla preparazione di un vaccino specifico, per ora l’unica cura possibile è l’astensione totale dal mangiare l’alimento incriminato.

Di intolleranza si muore: la celiachia
La celiachia, (il termine deriva dal greco e significa ‘cavità’, in senso lato, quindi, cavità intestinale) conosciuta anche come morbo celiaco, o più semplicemente intolleranza al glutine, è una sindrome da mal assorbimento. Accade che alcune persone non riescano a tollerare il glutine, che è una proteina contenuta principalmente nella farina di grano, ma anche nell’orzo, molto probabilmente nell’avena, anche se le analisi effettuate ancora non hanno dato modo di stabilire se essa sia davvero un alimento vietato ai celiaci, nel malto, in molti tipi di amido e in tutti quegli alimenti che contengano anche in minima quantità una delle sostanze citate, non perché esse manchino dell’enzima adatto alla sua digestione (come accade a chi è intollerante al latte), ma perché le cellule che compongono il rivestimento interno del loro intestino sono sensibili ad una porzione (la frazione gliadinica) della proteina del glutine e non riescono perciò ad assorbirla.
I sintomi della celiachia appaiono principalmente durante lo svezzamento e cioè dopo aver introdotto i primi cibi solidi che contengono glutine nella dieta del lattante. Non è difficile, però, che persone adulte, sofferenti di magrezza eccessiva o di qualche malessere cronico non ancora identificato, si scoprano affette da morbo celiaco.
I sintomi più evidenti dell’intolleranza al glutine sono la presenza di diarrea maleodorante e di aspetto untuoso, vomito, inappetenza, calo ponderale, bassa statura, stato generale di denutrizione, seria debilitazione, diabete, osteoporosi, amenorrea, sterilità. In alcuni casi la celiachia è stata riscontrata in bambini con Sindrome di Down. Quando il morbo celiaco non viene diagnosticato in tempo, in special modo nei bambini molto piccoli, può portare alla morte. Al di là di questi sintomi più evidenti ve n’è un altro, tipico della celiachia, che anche per questo si differenzia dalle altre intolleranze alimentari: l’ingestione di glutine porta, nel soggetto celiaco, all’appiattimento e alla distruzione dei villi intestinali che, se sottoposti di frequente all’azione del glutine, possono ricrescere in modo anomalo fino a sviluppare forme tumorali allo stomaco e all’intestino.
Si stima che in Italia la celiachia abbia un’incidenza media sullo 0,5% della popolazione, sebbene ci siano regioni in cui i casi di celiachia registrati sono più numerosi e zone in cui essa risulta essere pressoché sconosciuta.
Per eliminare i sintomi e tornare ad un quadro clinico normale, il paziente celiaco non può fare altro che eliminare totalmente, dalla sua dieta, tutto ciò che possa contenere glutine, anche in minima quantità.
Per avere la diagnosi di celiachia, è necessario rivolgersi allo specialista in gastroenterologia che, dopo un’accurata anamnesi, prescriverà gli opportuni esami del sangue (ricerca degli anticorpi AGA ed EMA e degli anticorpi antitransglutaminasi tissutale).
Gli anticorpi AGA sono immunoglobuline prodotte a livello della mucosa intestinale e dei linfonodi mesenterici, che si trovano nel siero di oltre il 90% dei celiaci. Ancora più affidabile è la ricerca degli anticorpi EMA, ossia degli anticorpi antiendomisio rivolta alla classe Ig A la cui presenza è evidenziata mediante immunofluorescenza.
Recentemente si è anche dimostrato che gli auto-anticorpi riconoscono quale antigene la transglutaminasi tissutale. In caso di risultato negativo di questi esami o comunque in presenza di una sintomatologia che lasci presupporre la presenza dell’intolleranza al glutine, occorre effettuare il prelievo, tramite gastroscopia, dei villi intestinali, che saranno quindi sottoposti ad esame istologico.
Quest’ultimo è l’unico esame, allo stato attuale delle ricerche, in grado di dare l’assoluta certezza di diagnosi di morbo celiaco: infatti quando i villi risultano assenti, atrofizzati o di forma inconsueta, trattasi sicuramente di paziente affetto da celiachia.
A causa della natura predisponente al cancro e non essendoci al momento alcuna cura o vaccino atto a debellare la patologia, i pazienti sono costretti a seguire per tutta la vita una rigorosa dieta senza glutine: ciò consente il ripristino sia della normale architettura dei villi intestinali, sia delle funzioni mucosali.
Il mantenimento di una tale dieta non è comunque cosa semplice, considerando che piccole quantità di glutine sono state identificate in fonti non sospette, quali il caffè, spesso arricchito con orzo o lo zucchero a velo che di sovente contiene amido.
Tale dieta inoltre rappresenta una restrizione abbastanza forte alla normale alimentazione, il che giustifica gli sforzi degli addetti ai lavori tesi a trovare strategie alternative alla completa esclusione del glutine dal cibo.
                                           La dieta senza glutine
Per meglio comprendere quelle che sono le difficoltà di integrazione sociale che il soggetto celiaco può incontrare e i disagi che egli deve affrontare, è necessario presentare con precisione in che cosa consiste la dieta senza glutine e quali sono le limitazioni che essa comporta.
Penso che, a tale scopo, sia interessante considerare l’elemento cibo anche da un punto di vista antropologico.
L’antropologa inglese Mary Douglas (Londra 1913 – Nairobi 1996), definiva il cibo come “un rituale, i cui significati, condivisi da una collettività, vengono confermati e difesi”3.
Infatti, si può ben affermare che l’esclusione del glutine e, in senso più ampio, della farina di frumento dalla dieta, assume certamente aspetti differenti relativamente all’uso che di questa proteina fa la popolazione cui ci si riferisce.
Nei Paesi Nord-Europei, ad esempio, l’utilizzo della farina di grano è limitata alla preparazione di pochissimi alimenti: se da un lato, dunque, la celiachia è pressoché sconosciuta, è pur vero che i pochissimi soggetti che ne sono affetti non risentono in alcun modo delle limitazioni alimentari cui vanno incontro.
In Italia, invece, dove l’alimentazione è basata essenzialmente su pasta, pane e pizza, il problema celiachia finisce per divenire un problema di cultura alimentare e di costume sociale, più che di interesse medico.
Per definire meglio quanto detto, pensiamo a come potrebbe sentirsi un ragazzo italiano, tutto pizzeria, birra e fast-food, se dovesse scoprire di non tollerare il riso: dopo un breve momento di stupore, potrebbe ricordarsi che il riso, in fondo, non gli è mai piaciuto e che, sicuramente, non ne sentirà la mancanza.
Al cibo, anche per le persone senza alcun problema alimentare, non si riconosce mai il solo significato biologico.
Non vi è alcuna società umana che considera il cibo da un punto di vista puramente alimentare o della sua commestibilità: al cibo, infatti, si ricollegano valori complessi ed ideologie religiose.
Il cibo riveste anche una funzione simbolica: esso cioè ha il compito di fungere da sistema di riconoscimento.
Sono questi i motivi per cui un popolo spesso si riconosce e si identifica nelle tradizioni culinarie che lo contraddistinguono.
Partendo, dunque, da questi presupposti è facile comprendere come mai il soggetto intollerante non trovi risposta al suo problema nelle istituzioni e nei luoghi di ristorazione: il soggetto che necessita di una dieta senza glutine, e dunque di una dieta particolare, è a sua volta considerato particolare, di una particolarità non sempre compresa.
Mi spiego: una società capace di far propria la dieta vegetariana, quella macrobiotica, quella bio e così via, non accetta invece quella gluten-free per il semplice motivo che allontanarsi da un alimento importante, come è la farina nell’alimentazione nostrana, può apparire come una perdita di identità verso il proprio gruppo di appartenenza: qualunque cosa che abbiamo in comune con il resto del gruppo, infatti, sia esso il cibo, il modo di vestire o i luoghi da frequentare, ci rende partecipi di quel gruppo e, di conseguenza, ogni motivo di diversità, acuisce l’ansia di essere estranei al gruppo e, per questo, non accettati dai componenti dello stesso.
Questa estraneità socio-culturale potrebbe essere in parte superata se il paziente accettasse il suo essere ‘soggetto celiaco’ e si adoperasse per affrontare e, quindi, vivere al meglio la sua situazione, adeguandosi ad uno stile di vita che certamente lo preserverebbe da successivi e più seri problemi.
In base a quanto detto finora risulta forse più chiaramente quale sia la natura delle problematiche psico-sociali che si può trovare ad affrontare un soggetto con una intolleranza alimentare come quella al glutine.
L’uomo ha vissuto per millenni senza glutine ed i suoi pasti erano a base di prodotti che gli offriva la terra o di ciò che riusciva a ricavare dalla caccia e dalla pesca.
Oggi lo scenario gastronomico è totalmente diverso e senza dubbio, i condizionamenti che la vita sociale ci impone anche a tavola, creano non poche difficoltà a chi deve attenersi ad una dieta senza glutine: “il pane, da sempre simbolo di abbondanza e ricchezza diviene, nel soggetto celiaco, immagine di tutto ciò che egli deve, per vivere bene, assolutamente escludere dalla sua dieta”.
Onde evitare che il paziente celiaco, soprattutto quello più predisposto alla depressione, possa risentire troppo negativamente della sua situazione di ”privazioni” è dunque necessario che egli, dal momento in cui viene diagnosticato intollerante al glutine, impari a nutrirsi non solo con prodotti dietoterapeutici, ma anche e specialmente con cibo naturalmente privo di glutine, così da incontrare meno difficoltà di adattamento anche qualora dovesse trovarsi a mangiare fuori casa.

Pranzi senza glutine
Avendo precedentemente scritto che il soggetto celiaco, per raggiungere e mantenere un soddisfacente quadro clinico, deve scrupolosamente seguire per tutta la vita una dieta priva di glutine, è ora opportuno soffermarci ad analizzare i motivi per cui può risultare assai difficile rispettare tale dieta, definendo, subito dopo, aspetti positivi e negativi della partecipazione a pranzi totalmente “esenti da glutine”.
Il momento del pranzo o della cena è da sempre considerato importante, perché è il momento in cui un gruppo (sia esso formato da familiari, da amici o da colleghi di lavoro) si riunisce intorno ad uno stesso tavolo per condividere, oltre alle portate, anche idee, impressioni, timori…
Estremizzando il concetto, si potrebbe affermare che il soggetto celiaco non potendo condividere il menù degli altri, può risentirne e sentirsi escluso non solo dal pasto, ma anche dalle idee e dai discorsi che i commensali sostengono.
Oggi, grazie a una migliore conoscenza del problema celiachia, al maggiore interessamento dei gestori dei luoghi di ristoro e, soprattutto, al costante impegno dell’associazione A.I.C., di tanto in tanto, in diversi ristoranti d’Italia, vengono organizzati pranzi e cene assolutamente gluten-free (senza glutine), ai quali sono invitati a partecipare tutti i pazienti celiaci e le persone a loro più vicine che, per una volta, mangeranno come se fossero celiaci, condividendo con il celiaco “vero” non solo le chiacchiere, ma anche il pasto.
Naturalmente, tali iniziative sono accolte con grande gioia dai celiaci.
In queste occasioni, infatti, essi si sentono pienamente liberi dall’eccessiva attenzione che devono porre a tutto ciò che mangiano e dall’inevitabile timore che il cuoco, nel preparare le pietanze, abbia potuto involontariamente ‘contaminare’ l’insalata mista con polvere di farina sfuggita alla sua attenzione.
Durante questi incontri, inoltre, è naturale parlare con molta serenità e senza la paura di essere fraintesi del proprio problema, considerato che tutti i presenti conoscono bene l’intolleranza al glutine.
Sicuramente, poi, non si verrà apostrofati con frasi, in molte occasioni assai irritanti, del genere: “Ma prima o poi ti passa” o “Cosa vuoi che ti faccia ogni tanto uno strappo alla dieta?”.
Ben vengano, dunque, queste occasioni d’incontro, stando però ben attenti che esse non evidenzino, paradossalmente, invece di colmare, il divario esistente tra celiaco e non celiaci.
Infatti – mi chiedo – il voler riunire le persone intolleranti al glutine in un unico punto di ristoro non potrebbe risultare, in qualche modo, controproducente rispetto allo scopo prefissato?
Il soggetto celiaco, estremizzando ancora il concetto, non potrebbe sentirsi ancora più solo rispetto alla sua intolleranza quando, alla fine di quel pranzo organizzato, si troverà ad affrontare nuovamente il disagio di porre attenzione a ciò che mangia o di chiedere attenzione al cuoco?
L’organizzazione di questi pranzi produce, certamente, effetti positivi dal punto di vista della condivisione e della conoscenza del problema e acuisce, contemporaneamente, la speranza che a questi incontri segua una più attenta educazione ai ristoratori, ai cuochi e ai camerieri affinché il soggetto celiaco possa partecipare con gioia e senza disagio anche a quelle cene dove la gran parte dei commensali mangerà lasagne e pane fresco, sentendosi a pieno titolo uno di loro.

Dott.Giuseppe Pipicelli – Dott. Rosa Maria Bevilacqua
U.O. Serv. Territoriale Soverato