C’è tutto un mondo intorno

La persona con diabete, soprattutto se usa un microinfusore, trae grandi vantaggi da un contesto supportivo nel quale il Servizio di Diabetologia, l’Associazione, la Asl e la Regione accolgono le sue esigenze e le prevengono, parlando il più possibile il suo linguaggio, come mostra l’esperienza fatta nella provincia di Reggio Calabria.

Intorno a ogni persona con il diabete che usa un microinfusore, intorno a tutti noi forse, esiste – o dovrebbe esistere – uno ‘spazio di sostegno’. Come certe reti che si usano per pescare, questo spazio è composto di cerchi concentrici, fittamente collegati l’uno all’altro. La famiglia, intorno a essa il Team diabetologico e intorno ancora un insieme di persone vicine per problemi e interessi, riuniti in una Associazione per esempio. A contenere il tutto un territorio e un quadro istituzionale attento e accogliente nei confronti di ogni forma di disagio.
Se questo è vero, in nessun luogo è meglio visibile che a Gallico e in genere nella provincia di Reggio Calabria. ‘Diabetologia’ a Gallico significa un ‘semplice’ ambulatorio nel Polo sanitario territoriale grande «nemmeno un metro quadro», come lo descrive Mariantonella Ferraro che lo dirige con un solo infermiere non a tempo pieno. Tra questo Ambulatorio territoriale e quello di Polistena, la Ferraro «messinese di Calabria», così si definisce, segue 5 mila persone con diabete, 58 delle quali in terapia con microinfusore, garantendo loro l’assistenza di una dietista, una psicologa, un medico, diversi infermieri e una serie di ‘tutor’ addirittura specializzati (uno per l’Accu-Chek H-Tron, uno per l’Accu-Chek D-Tron e presto arriverà anche l’esperto di Accu-Chek Spirit) e un programma di corsi di informazione, educazione sanitaria campi scuola e molto altro.
«Merito dell’Associazione», si schermisce la Ferraro, dimenticando di aggiungere che l’Associazione l’ha fondata lei circa cinque anni fa. Ci sarebbero da scrivere molti articoli su questa Associazione che riesce a procurarsi un elicottero per far sentire i suoi soci dei veri ‘Vip’, che fa i suoi campi scuola in crociera, che riesce a far riscrivere le normative regionali e ha perfino un nome tutt’altro che banale: Diabaino Vip Vip dello Stretto. Ma il tema di questa intervista è un altro.

Perché la persona con microinfusore ha bisogno di uno spazio di sostegno intorno a sé?
Perché è sola. Ha in mano un concentrato di alta tecnologia, ma ha bisogno di imparare a trarne il meglio. E chi la può aiutare meglio di qualcuno che condivida questa ‘partnership’ (così l’ha definita un mio paziente) con il microinfusore? Il mio è un piccolo ambulatorio, ma con una équipe eccezionale e sa perché? Tutti o quasi sanno in prima persona cosa è avere il diabete. Ed è per questo che scelgono di dedicare il loro tempo libero all’Associazione, aiutando le persone che vengono qui.

La generosità è importante, ma serve anche professionalità…
E ne abbiamo da vendere. Sono loro ad andare ai congressi ai corsi, siedono fianco a fianco con responsabili e membri di équipe diabetologiche, seguono corsi di formazione per imparare a spiegare al meglio, a instaurare un corretto dialogo. Soprattutto nelle prime settimane, per chi utilizza un microinfusore è importante avere a fianco persone che capiscono dall’interno cosa prova e che confrontano la sua con la loro esperienza.

Poi c’è un contesto più ampio: il territorio
A mio parere la Sanità territoriale è una risposta appropriata alla malattia cronica. Credo nella collaborazione con la Sanità ospedaliera ma anche nella prossimità fra paziente e struttura. Soprattutto se l’azione del servizio territoriale è potenziata, come nel nostro caso, dalla presenza di una Associazione. In più l’Associazione è in grado di porre le esigenze della persona con il diabete nel giusto contesto politico istituzionale.
Quindi le persone con diabete di tipo 1 hanno bisogno di unirsi per avere gli stessi diritti degli altri?
Certamente sì. Chi ha un problema di salute ha bisogno di una Sanità che funziona, ha bisogno di scelte politiche precise e la politica risponde solo se parli la sua lingua. Ma vorrei dire una cosa. Siamo sicuri che l’obiettivo di chi ha problemi di salute sia quello di ‘sentirsi come gli altri’? Vede, mia madre aveva una sartoria a Messina. Le sue clienti volevano gli abiti della moda di Parigi: di Balenciaga, di Dior. Allora non esisteva il prèt-à-porter, mia madre comprava i tessuti e doveva fare in modo che le sue clienti, alcune delle quali bassine e sovrappeso, si sentissero eleganti e raffinate come le mannequin che portavano quegli abiti nelle foto delle riviste di moda. E non era facile.

Ma perché queste donne non sceglievano abiti meno impegnativi?
È questo il punto! Perché non volevano sentirsi ‘normali’. Proprio perché non avevano il fisico di una modella, avevano bisogno e, secondo me, il diritto di sentirsi ‘speciali’.
 
da www.microinfusori.it intervista Dott. Mariantonella Ferraro