Miracolo al Best Western

Grazie a un incontro casuale, una famiglia passa da un modello di gestione del diabete rigido, normativo e basato su una scarsa fiducia a un modello in cui ai genitori vengono assegnate le conoscenze, le responsabilità ma anche il supporto necessario per riprendere a vivere una vita normale anzi, di più.

Il Best Western Hotel de la Ville è un bell’albergo: ospita convegni e la hall è piena di uomini d’affari con valigetta 24 ore e telefonino incollato all’orecchio. Insomma non sembrerebbe il ‘set’ ideale per un piccolo miracolo. Eppure, scherzando appena appena, in questo modo i genitori di Giorgia definiscono un incontro casuale e estremamente improbabile che ha cambiato la vita loro e della loro bambina. «Ci trovavamo in quell’albergo per un pranzo e – come avveniva ogni volta che eravamo al ristorante insieme, chiesi a un cameriere alcune variazioni al menu per mia figlia», racconta la mamma di Giorgia, «dissi: “Sa ha il diabete e non può assolutamente mangiare questo e quello”». Invece di assumere la solita espressione di circostanza, il cameriere rispose con un aperto sorriso. «Stavo per rispondergli piccata che c’era poco da ridere», ricorda Valentina, ex giocatrice professionista di pallacanestro, «quando il cameriere che era giovanissimo, nemmeno 18 anni, mi rispose. “Lei mi sembra mia mamma. Sa, anche io ho il diabete, ma non è affatto necessario evitare i carboidrati, è tutta questione di avere qualche conoscenza”».
Salutandosi il cameriere diede alla mamma di Giorgia il numero di telefono della sua diabetologa. Sembrava la fine della storia perché i genitori di Giorgia rimasero comunque fedeli al diabetologo dell’ospedale che dopo un bruttissimo esordio in una grave situazione di chetoacidosi, aveva scoperto, dopo molte diagnosi errate da parte di varie istituzioni, che Giorgia aveva il diabete e l’avera ‘tirata fuori’ da una chetoacidosi molto seria. Un bravo medico che, forse a causa della concitata situazione all’esordio, non aveva ritenuto opportuno creare un rapporto di fiducia e responsabilizzazione dei genitori. Dopo l’esordio la famiglia doveva seguire un insieme di regole molto rigide. Cosa non facile con una bambina che allora avvea appena tre anni. «Era come se un terremoto si fosse abbattuto sulla nostra casa», riassume la mamma di Giorgia, «i ritmi di vita di tutti erano assoggettati agli orari inflessibili dei controlli e delle iniezioni. Non era più possible per me fare altro che stare dietro a Giorgia, non si poteva mandarla all’asilo, gli amici e i parenti si sentivano a disagio con questa bimba che non poteva mangiare quasi nulla».
Il numero di telefono lasciato da Antonio il cameriere dell’albergo, rimase in un cassetto fino a una notte in cui per sbaglio la mamma iniettò a Giorgia un’insulina rapida invece che una lenta. «Eravamo terrorizzati, avevamo paura che morisse, oppure che si sarebbe salvata ma che il dottore ci avrebbe portato via la bambina perché ci eravamo dimostrati incapaci di gestirla», ricorda il papà di Giorgia. Era notte chiamarono il loro diabetologo ma questi non risultava reperibile. A quel punto in un cassetto la mamma ripescò il numero di telefono datole da Antonio. Era l’una di notte ma compose il numero lo stesso. «La dottoressa ci tranquillizzò, ci disse cosa fare e fu lei a telefonarci l’indomani mattina per sapere come era andata». L’indomani la mamma passò in ambulatorio a ringraziare la dottoressa. Da lì si passò a una visita e subito dopo arrivò l’invito a partecipare a un soggiorno educativo, uno dei tanti organizzati dalla locale associazione tra le persone con diabete.

Come andò l’esperienza del soggiorno educativo?
Fu uno choc! Non riuscivamo a capacitarci che il diabete fosse compatibile con quella buona qualità della vita, allegria e libertà che vedevamo in tutti gli altri partecipanti. Mi ricordo che dopo poche ore io e mio marito eravamo giunti alla conclusione che i ragazzi che erano con noi non avessero il diabete o comunque non lo stesso diabete di Giorgia. Ricordo di aver visto Giorgia in pulmann con in mano anzi in bocca una fetta di torta. Mi stavo gettando per togliergliela di bocca quando Giorgia mi ha risposto: “Mamma, me l’ha data la dietista!”.

Invece il diabete era lo stesso…
Sì, era solo diverso il modo di gestirlo. Quel soggiorno fu indimenticabile, ci sembrava di sognare. Certo per conquistare quella libertà abbiano dovuto imparare molte cose: distinguere i principi nutrizionali, valutare i carboidrati, calcolare di conseguenza i boli di insulina…
E i boli di correzione…
Esatto. Le faccio un esempio. Il diabetologo che seguì, diciamo pure che salvò, Giorgia all’esordio, non ci aveva parlato dei boli di correzione. In caso di iperglicemia ci aveva detto di far fare esercizio fisico alla bambina. Siccome le iperglicemie capitavano anche di sera, lei poteva trovarci alle 11 di sera in giro per il paese a camminare o al parco giochi oppure, se faceva freddo, a fare i salti sul materasso a mezzanotte.

Con le nuove conoscenze sulla terapia andò tutto a posto?
La qualita della vita sì, la bambina potè tornare all’asilo e frequentare gli amici e i cuginetti, io riusciii a tornare alle mie occupazioni. Tutto avveniva con più leggerezza ma le glicemie rimanevano difficili da gestire.

A quel punto si pensò al microinfusore…
Sì, noi eravamo un po’ perplessi. Ci chiedevano come sarebbe riuscita Giorgia, una bambina sempre in movimento a tenere addosso una macchinetta. Ma alla fine accettammo anche perché Giorgia che aveva visto il microinfusore indosso a numerosi amici nei soggiorni educativi, era interessata. A tre anni e mezzo Giorgia ha avuto il suo microinfusore, un modello con un design simpatico, un bel colore e che permette di variare la basale anche di un decimo di unità all’ora, cosa importante con una bambina che pesa 24 chili, e le glicemie piano piano sono tornate a livelli accettabili.

E Giorgia?
È felicissima! A parte che è diventata la mascotte dell’attivissima Associazione, non sente nessuna discriminazione. Tempo fa l’abbiamo sentita mentre parlava con un amico che segue il diabete con le iniezioni di insulina e gli diceva: «Ma tu hai ancora il diabete? Io no! Io sono guarita. Ho il microinfusore!».

Da www.microinfusori.it