Diabaino News – In quegli anni… dalla guerra mondiale 1918 all’insulina 1923

Durante il corso della scuola media grande passione avevamo ricevuto dallo studio delle guerre di Indipendenza e avevamo sempre visto l’Austria come il nostro nemico e non modificarono il nostro pensiero i trattati della Triplice Alleanza (Germania, Austria-Ungheria, Regno d’Italia) tra il 1882 e il 1912 che passarono quasi inosservati; poi al liceo poco prima dell’esame di maturità fummo messi al corrente della lettera di Giovanni Giolitti che ci venne indicata come famosa per l’espressione “parecchio”, lettera scritta dallo stesso Giolitti il 24 gennaio 1915 all’on. Peano e pubblicata il 1 febbraio successivo sulla «Tribuna» con la sostituzione del “parecchio” originario con “molto”. Il neutralismo del Giolitti appare frutto di una scelta responsabile, dettata da una lunga esperienza di governo, dall’effettiva conoscenza delle forze antagoniste. Le nostre legittime aspirazioni nazionali potevano, a suo giudizio, essere soddisfatte senza gettare il paese in un conflitto che si profilava lungo e sanguinoso, un conflitto che avrebbe compromesso la nostra economia e le nostre ancora fragili istituzioni liberali. Ma il neutralismo giolittiano aveva il torto di apparire, nel clima esaltato di quegli anni, come la tesi dei pavidi, come un puro calcolo di opportunità. Perciò, a non voler considerare le riposte ragioni che facevano inclinare verso la guerra i nostri ceti industriali ed agrari, il neutralismo giolittiano fu respinto dall’opinione pubblica borghese invasata dalla retorica dannunziana.

Nel 2016 a distanza di cento anni ebbi personalmente l’opportunità di percorrere il terreno di battaglia ora al confine tra Italia e Slovenia per vedere il luoghi dove aveva perso la vita in combattimento lo zio di un caro amico, sotto la guida di uno studioso delle posizioni e dello svolgimento dello scontro militare: ogni giorno di combattimento un giorno di massacro per la conquista di pochi metri di terreno e di quota; visitai il cimitero di Redipuglia che avevo già visitato dopo la terza media, ma ora avevo alle mie spalle la lettera di Giolitti e la visione del campo di combattimento: un immenso cimitero che riempie di angoscia. Ma nel disastro umano ormai evidente appare una luce rappresentata dall’unità di popolo che in quella occasione si manifestò: giovani del meridione e del settentrione d’Italia combatterono fianco a fianco e si scarificarono, giovani che avevano completato il liceo (come lo zio dell’amico) pur in minoranza numerica si confrontarono con i giovani più numerosi che provenivano dalla campagna e forse quella è stata l’unica occasione di unità del paese dalla proclamazione del Regno d’Italia, unità che non si sarebbe più manifestata almeno fino ai giorni nostri. Possiamo quindi considerare un miracolo il sacrificio immane dei giovani italiani? Senza dimenticare il sacrificio anche di tanti giovani “nemici”. Il Centenario ci deve consentire di riflettere: viviamo da oltre settanta anni senza guerre in una Europa nella quale vivono 500 milioni di persone che si possono muovere liberamente, possono comunicare tra loro, possono lavorare senza ostacoli al commercio internazionale e quindi dobbiamo proprio che qualcuno (Konrad Adenauer Germania, Joseph Bech Lussemburgo, Johan Willem Beyen Olanda, Winston Churchill Inghilterra, Alcide De Gasperi Italia, Robert Schuman Francia, Paul-Henri Spaak Belgio, Altiero Spinelli Italia) ci ricordi che evitare la guerra ci può rendere “parecchio”?

Nel 1923 ai ricercatori Banting e Macleod andò il Premio Nobel in Fisiologia e Medicina per la scoperta dell’insulina, in mezzo a rivendicazioni e proteste.

Correva il 1916 quando il professor Nicolae Paulescu, cattedratico di Fisiologia all’Università di Medicina e Farmacia di Bucarest, in Romania, ricavò dal pancreas un liquido che iniettò successivamente in un cane con diabete. Paulescu osservò come questo liquido fosse capace di normalizzare la concentrazione di zuccheri nel sangue del cane e ne pubblicò i risultati in quattro lavori scientifici che gli permisero di ottenere, nel 1922, il brevetto per la scoperta della pancreina, il primo nome attribuito all’insulina.

Dall’altra parte dell’oceano, intanto, lo studioso canadese Frederick Grant Banting si immerse nella lettura degli studi sul diabete e sulle isole di Langerhans nel pancreas, venendo rapito dalla teoria secondo cui la molecola chiave della regolazione degli zuccheri nel sangue fosse da ricercare proprio nel secreto pancreatico. Bisognava migliorare la tecnica utilizzata per trovarla e purificarla, per poi passare a testarne l’effetto antidiabetico. Banting chiese a John James Richard Macleod, professore di Fisiologia all’Università di Toronto, il supporto tecnico per identificare la molecola responsabile dell’effetto ipoglicemico osservato da Paulescu. Il gruppo composto da Macleod, Banting, lo studente in Medicina Charles Best e il biochimico James Bertrand Collip giunse ad ottenere, nel 1922, un estratto dal pancreas purificato dai sali e dai grassi che causavano le forti reazioni allergiche osservate durante i primi trattamenti. Macleod utilizzò il termine di ”insulina” per identificare la famosa soluzione acquosa. Nel 1923 a Banting e Macleod venne assegnato il premio Nobel in Fisiologia e Medicina per la scoperta ed estrazione dell’insulina, premio che i due ricercatori prontamente condivisero con Best e Collip.

Il riconoscimento ai ricercatori canadesi aprì una lunga polemica sulla paternità della scoperta dell’insulina. Il Presidente del Comitato del Premio Nobel di Stoccolma ricevette subito una lettera da Paulescu il quale, indignato, commentò come il premio fosse stato dato a “persone che non lo meritano affatto. La scoperta degli effetti, fisiologici e terapeutici, dell’estratto pancreatico nel diabete mi appartiene tutta intera”. Del resto, Banting e Macleod avevano dichiarato fin dall’inizio di aver riprodotto in laboratorio quanto pubblicato da Paulescu, citandone spesso il lavoro e mettendo semplicemente in pratica quanto scoperto dal professore rumeno. Tutte le contestazioni e i nuovi lavori pubblicati da Paulescu sugli Archives Internationales de Physiologie risultarono inutili fino al 1969, quando il Comitato del Premio Nobel riconobbe la precedenza di Nicolae Paulescu nella scoperta del trattamento antidiabetico, ma, in base al suo statuto, escludendo la possibilità di una riparazione ufficiale. Roif Luft, Direttore del Comitato del Premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina, in un articolo del 1971 dal titolo “Who discovered insulin?” dichiarò che il Premio Nobel per la scoperta dell’insulina «avrebbe dovuto essere, almeno diviso, fra Paulescu, Banting e Macleod».

Dr. Eros Barantani

 

 

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