Il trapianto di celluleche sconfigge il diabete

A Milano il primo intervento in Europa Tecnica messa a punto dall’Istituto di Miami.
Il paziente, un uomo di 41 anni, diabetico dall’età di 11, ha smesso di prendere l’insulina. Il protocollo è stato studiato dallo scienziato Camillo Ricordi, da anni negli Usa

Un passo avanti importante per curare i pazienti affetti da diabete di tipo 1 è stato compiuto all’ospedale Niguarda di Milano, grazie a un trapianto innovativo – il quarto al mondo, il primo riuscito in Europa – compiuto da un’équipe multidisciplinare (chirurgia dei trapianti, diabetologia, nefrologia, anestesia, terapia tissutale) che ha applicato il protocollo messo a punto a Miami dal Diabetes Research Institute, diretto da Camillo Ricordi. Lo scienziato italiano ha identificato un sito particolare, l’omento (una membrana che si estende sopra l’intestino) quale posto ideale per trapiantare le cellule pancreatiche. «L’intervento – spiega il diabetologo Federico Bertuzzi (coordinatore del programma di questo tipo di trapianto a Niguarda) – è avvenuto un mese fa e ora si può definire riuscito: da una settimana il paziente (un uomo di 41 anni, diabetico dall’età di 11) ha smesso di assumere insulina». Da Miami giungono le congratulazioni di Ricordi: «Questa tecnica di ingegneria tissutale sarà fondamentale per permettere la speU rimentazione clinica di nuove tecnologie per evitare l’uso di farmaci anti rigetto, che oggi limitano l’applicabilità dei trapianto di isole ai casi più gravi di diabete». «Attualmente le cellule insulari vengono infuse nel fegato – aggiunge Luciano De Carlis, direttore della Chirurgia generale e dei trapianti a Niguarda – ma molte non sopravvivono a causa di una reazione infiammatoria che ne compromette il funzionamento». Con il trapianto nell’omento non solo «sono stati creati i presupposti per gli studi per evitare l’immunosoppressione» continua Bertuzzi, ma «si preservano meglio le isole pancreatiche durante la fase di attecchimento». La nuova soluzione, realizzata con chirurgia videolaparoscopica, promette ulteriori soluzioni terapeutiche: «Sarà possibile utilizzare microcapsule per rivestire le isole pancreatiche trapiantate e limitare o evitare l’immunosoppressione, che comporta sempre rischi aggiuntivi». A procurare le cellule del trapianto è stata l’équipe di Mario Marazzi (direttore della Terapia Tissutale a Niguarda): «Abbiamo lavorato il pancreas di un donatore multiorgano, e selezionato in laboratorio le isole pancreatiche. Poi nel corpo stesso del paziente è stato creato lo scaffold, l’impalcatura per ospitare le cellule trapiantate». «Questa impalcatura biologica – continua Bertuzzi – è fatta dal siero del paziente stesso e dalla trombina (un componente del sangue): insieme formano una specie di gel che permette l’adesione di queste isole alla membrana dell’omento». «La trombina diventa solida – aggiunge Marazzi –, le isole pancreatiche restano intrappolate all’interno, e producono insulina. L’omento presenta il vantaggio di avere una ottima vascolarizzazione». «Trapiantando le isole pancreatiche nel fegato – continua Marazzi – abbiamo già buoni risultati: un 80 per cento

Tratto da Attualità  10/’6/2’16

ENRICO NEGROTTI MILANO