Diabaino News – Essere visti come un diverso può dare molto fastidio

Avvertenze prima dell’uso: nell’articolo che segue di filosofia ve ne è poca, lo scrivente tra l’altro non si ritiene un filosofo. Nel mondo giornalistico solo pochi potevano scrivere un articolo in prima persona, come ad esempio Gianni Brera, l’avvocato giornalista Mimmo Ferraro, chi scrive è costretto in questa sede a farlo per un paio di motivi, in primo luogo per una migliore confidenzialità del racconto e in secondo per evitare di usare modi verbali in modo pedestre…

Antefatto: essere visti come un diverso può dare molto fastidio, irritare. Ricordiamo che i diversi per la nostra sono i colored, gli ebrei, gli zingari, i disabili, i testimoni di Geova, i gay, le lesbiche, i trans… I diversi che hanno un marchio visibile e soprattutto invisibile agli occhi dell’altro, siamo più farisei che pubblicani. Andiamo ai fatti: quest’estate mi trovavo in un parco acquatico. Dopo aver pagato il biglietto ed aver effettuato l’ingresso, mi ero accorto di aver dimenticato alcune cose necessarie per lo svago in auto. Subito faccio dietrofront e mi avvio al parcheggio ma vengo fermato all’entrata da un body-guard che ascolta la mia necessità ma senza preavviso mi prende il polso e stampa un timbro, spiegandomi che così al ritorno fossi riconoscibile. La rimostranza è stata abbastanza veemente e asserivo di essere trattato alla stregua di un ebreo (etnia che da sempre  rispetto e stimo soprattutto per la loro intelligenza!) in procinto di essere trasferito in un campo di concentramento. Finalmente mi sdraio nel mio lettino balneare, riflettendo che i nazisti hanno fatto scuola! Ma la mia reazione? La mia reazione era dovuta a un evento accadutomi negli anni 90 e fatto che mi ha segnato. Campitello Matese, estate 1996: sono accompagnatore di un gruppo di turisti. È una domenica, per il pranzo si doveva andare in un altro albergo causa l’indisponibilità del proprio albergo. Ovviamente nella sala antistante al ristorante si crea una fila molto lunga. Ad un tratto vedo uscire dalla fila un anziano signore, si siede in una sedia urlando e piangendo disperatamente.

“Gabriele cos’e successo che hai?”

“Non ce la faccio a stare in fila, mi ricorda un momento tristissimo della mia vita. È il 30 marzo 1944, due giorni prima c’era stato l’attentato di via Rasella. Io lavoravo nel municipio di Roma. Vengo arrestato insieme ad altri colleghi perché le SS sospettavano che fossimo collaboratori degli attentatori.”

Sentendo l’inizio del racconto di Gabriele, mi siedo accanto a lui, mi tremavano le gambe al pensiero di quello che aveva passato. Invito così Gabriele a continuare il suo racconto.

“Quel giorno ci misero in una camionetta, ammassati come bestie, dovevano portarci in Germania e presumibilmente in un campo di concentramento. A Firenze, sosta, ci buttano dentro uno stanzone e lì siamo stati marchiati con un piccolo grande punto ed il numero di matricola”.

Feci altre domande a Gabriele ma la cosa che mi incuriosiva di più era il sapere di come fosse riuscito a sopravvivere.

“Sono stato molto fortunato, ci fu un attacco alla colonna  in prossimità di Bologna. Alcuni miei compagni morirono. Io ebbi una ferita non profonda sulla gamba della quale ancora porto il segno (alza il pantalone e mi fa notare la cicatrice). Riuscì a trascinarmi in un anta del terreno e mi finsi morto. Rimasi lì quasi due giorni incapace di muovermi, abbracciato alle gambe di un cadavere, cercando di non fare rumori e  respirando più silenziosamente possibile. Ma sai perché mi sono messo a piangere? Perché mi è venuto in mente che durante la sosta di Firenze ci misero in fila per ottenere il pasto per lo più costituito ad una brodaglia indescrivibile. Li siamo stati spinti, pestati, qualcuno addirittura ha ricevuto qualche brutto colpo in quanto si professava innocente  oppure perché voleva sapere la destinazione finale. Caro Carmelo grazie per la tua comprensione ma io ancora mi sento sporco marchiato da quel punto nero con la matricola.”

Gabriele alzo la manica della camicia per farmi vedere la marchiatura e nonostante fossero passati più di 50 anni la scritta ancora c’era, si leggeva il numero. Capii anche il perché nonostante il caldo di quei giorni Gabriele portava camicie a maniche lunghe… Ho appurato inoltre che chi raccontava vicende analoghe, se non anche più tragiche, che quei tatuaggi non si sarebbero mai cancellati. Quindi capite adesso il perché anch’io all’ Acqua Park ho provato rabbia,  anche se dopo il primo bagno in piscina il mio timbro si è cancellato completamente. Queste mode di oggi, per controllare le entrate e le uscite da un locale, sembrano così assurde in quanto una civiltà che si definisce civile non può accettare l’uso di mezzi di hitleriana memoria. Purtroppo nella nostra società abbiamo  anche delle marchiature virtuali, invisibili dovute più che altro all’ignoranza , come nel caso di noi diabetici. Ancora molti di noi tastiamo con mano che molte persone credono che il diabetico è potenzialmente pericoloso, contagioso, o ancora, che il diabetico possa mettere nei guai il proprio vicino in quanto quest’ultimo non sa fare nulla in caso di necessità diabetica. Da quanto detto sopra, il diabetico ha quel timbro, quel numero di matricola che non si vedono, però che  gli altri vedono! Cosa fare per contrastare,  arginare queste sacche di ignoranza? Buona parte della colpa di questo stato d’essere è nostra, nostra perché alle volte non accettiamo il nostro status, non diffondiamo la situazione diabetica e non avviciniamo nessuno dei normali alla nostra causa. L’esempio lampante è la situazione della nostra associazione, che rischia di chiudere dopo vent’anni di sforzi fatti da una buona parte di associati, sforzi che non bastano, in quanto non c’è un adesione totale da parte del cento per cento dei associati. Umilmente rintraccio la causa in alcuni diabetici che si vergognano di partecipare in modo attivo alla vita sociale, pensano che basti la pillola,  sapere  gestire l’insulina, per poi sparire dalla circolazione e dimenticando alle volte di associarsi e di pagare la quota sociale annuale. Non abbiamo capito che occorre l’apporto di tutti soprattutto in questo momento politico storico della nostra Italia dove il governo predica bene ma razzola male, arrivando addirittura ad  effettuare tagli vistosi ai contributi alle associazioni che veramente operano nel sociale come la nostra Diabaino Vip Vip dello Stretto. Ho confessato qualche articolo fa, che io senza la Diabaino già sarei stato da un bel po’ sotto l’ombra di un cipresso! Da questa mia affermazione e di conseguenza sopravvivenza chiedo a tutti i lettori di prestare più tempo all’associazione e cercare delle nuove vie perché l’associazione sopravviva. La mia proposta è quella di aprire una sottoscrizione supplementare e allargata anche alle persone normali per poter sostenere le numerose spese. Infine il pensiero va quasi come al solito a Gabriella e Mariantonella, genitori dell’associazione e che mi crea un forte dubbio : in caso di morte dell’associazione riusciranno a sopravvivere? È atroce per un genitore sopravvivere a un figlio! Se per noi loro sono più che amiche, desideriamo il loro e nostro benessere, rimbocchiamoci le maniche, che la scritta che abbiamo, anche se invisibile che si veda, cerchiamo di far continuare a vivere la Diabaino Vip Vip dello Stretto, faro della lotta al diabete nel sud d’Italia.

Prof. Carmelo Ferraro

settembre 2019

 

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