L’ATTIVITA’ FISICA NEL DIABETICO ANZIANO : INDICAZIONI E LIMITI

I moderni indirizzi in campo diabetologico danno più spazio ai momenti educativi rispetto a quelli terapeutici classici per cui l’attività fisica ha assunto un valore preponderante nella terapia del diabete stesso.             Tale concetto e’ comunque già presente nella triade di Joslin e già nel 1926 Lawrence osservava l’effetto sinergico dell’attività fisica con l’insulina nel senso che la prima potenziava l’effetto della seconda.                                            Il concetto di attività fisica,attività sportiva con gli anni ha avuto un grande sviluppo ed in Italia abbiamo molti esempi.

Gli organizzatori dei vari corsi residenziali per diabetici inseriscono l’attività fisica come parte del corso stesso.

Già’ da qualche anno Mariella Trovati studia il problema ma un impulso significativo,in tal senso, e’stato dato dall’A.N.I.A.D. e dagli studi di Gerardo Corigliano in campo specifico.

Ma c’e’ subito da precisare una differenza fondamentale:                       L’attività’ fisica e’ consigliata comunque nel diabetico di tipo due mentre e’ più complesso nel diabetico insulinodipendente.                                                Non e’ come argomento di tale relazione affrontare tali differenze per cui si rimanda a testi specifici per approfondimenti.

Ma in tutti questi lavori vi e’ un limite molto comune:                                      non viene presa coscienza del problema se si tratta di un diabetico anziano.

L’attività fisica ,agonistica e non , assume molteplici aspetti nel giovane in quanto,oltre a sinergizzare l’azione dei farmaci , e’ vita come raggiungimento di una propria “fitness” specie se si conseguono traguardi di tutto rispetto.

In tal modo il diabetico riafferma se stesso e dimostra, a se e agli altri, di non essere inferiore e che può raggiungere gli obbiettivi che si e’ prefisso,nonostante il diabete.

Ma nell’anziano non e’ certo così e le cose stanno in maniera molto diversa ed e’ proprio tale diversità che deve indurre a studiare il problema rapportandolo all’età del paziente.

Se si tiene conto che i diabetici anziani raggiungono il 60 % di tutti i diabetici ci si rende conto che le dimensioni del problema sono tutt’altro che trascurabili.

Innanzitutto nell’anziano in genere e nel diabetico anziano in particolare non si deve parlare di attività sportiva ma solo di attività fisica per ovvi motivi che non riteniamo di dover approfondire.

In secondo luogo dobbiamo chiederci come si pone il paziente di fronte al problema:                                                                                                                               Non trattandosi di attività sportiva non cercheremo neanche la realizzazione in questo campo e ,dalla nostra esperienza nessun anziano chiede all’attivita’ fisica un obiettivo di rivalsa.

Gli interessi dei pazienti della terza e della quarta età sono ben diversi e possiamo sintetizzarli cosi:

-Affetto per il coniuge(se vivente)

-Affetto per i figli e i nipoti

-Affetto per se stessi(istinto di conservazione)

In genere l’anziano accetta la vita giorno per giorno come un dono che si ripete ad ogni levar del sole e cerca di viverla nel miglior modo possibile con le persone che ama.

Un primato sportivo non lo interessa proprio !.

A ciò si aggiungano gli acciacchi propri dell’età e del diabete che potrebbero limitare l’attività’ fisica o che potrebbero essere aggravati da una attività fisica non ben equilibrata.

Nella nostra esperienza decennale abbiamo dedicato molto tempo e energie a studiare il diabetico anziano nel suo intimo e nella sua vita di relazione ed abbiamo anche esposto metodologie legate all’età e alle condizioni psicofisiche di questi pazienti giungendo a formulare un metodo di approccio e di valutazione che molto si differenzia da quello usato nel giovane e nell’adulto.

Una differenza per tutte:

il diabetico giovane si vergogna del suo stato e non ne parla,

il diabetico anziano funge da cassa di risonanza con parenti ed amici diabetici per cui gli insegnamenti impartiti al singolo si riversano,a cascata, su molti altri con notevole effetto terapeutico globale.

Affrontando il problema dell’attività fisica nel diabetico anziano bisogna, innanzitutto considerare che ,mai come in questa fascia di età,l’intervento deve essere estremamente personalizzato tenendo conto di alcuni parametri ben definiti e

imprescindibili:

-Età

-condizioni dell’apparato locomotore

-condizioni dell’apparato cardiovascolare

-condizioni del sistema nervoso centrale e periferico

-condizioni psichiche

-altre patologie intercorrenti

-motivazioni

-ambiente in cui l’anziano vive e suoi riflessi nella vita

di relazione.

Ma affrontiamo uno dopo l’altro questi parametri.

 ETA’

Le differenze anche di pochi anni ,specie se si supera la soglia dei 70 anni,fanno diminuire esponenzialmente le capacità fisiche dell’anziano.

Sull’eta’ c’e anche da dire che spesso l’età anagrafica non corrisponde alle capacità personali in quanto noi vediamo persone di 80 anni che ne dimostrano 60 e viceversa.

Nel diabetico invece,sopratutto se la sua malattia data da oltre 10 anni,l’età anagrafica corrisponde alle capacità fisiche e questo livellamento di potenzialità forse e’ dovuto alle complicanze a lungo termine del diabete stesso.

E’ piu’ facile incontrare un uomo di 70 anni che ne dimostra 70 o più che viceversa.

Ad ogni modo non ci sentiamo di consigliare attività fisica di un certo impegno a persone di età superiore a 75 anni.

Invece le passeggiate sono consigliate a tutti e noi abbiamo trovato il modo di far compiere a tutti i diabetici anziani questo

tipo di attività istituendo i corsi di educazione nel paese di residenza del paziente ottenendo tre obbiettivi:

-affrancare il diabetico dal familiare che lo accompagna

-farlo camminare fino al punto di incontro

-valutare l’effettiva motivazione del paziente( essendo indipendente dagli altri può andarsene se lo desidera e se non ha una motivazione tale da farlo restare nella sede del corso).

 CONDIZIONI DELL’APPARATO LOCOMOTORE

In questo punto,come nei successivi, dobbiamo affrontare il problema da due punti di vista:

-Come la patologia influenza l’attività fisica

-Come l’attività’ fisica influenza la patologia.

Nel caso dell’apparato locomotore la presenza costante di artrosi

e di osteoporosi limita l’attività’ fisica ma , d’altro canto,

il movimento attiva i processi osteoblastici e migliora l’ipotrofia muscolare.

 CONDIZIONI DELL’APPARATO CARDIOVASCOLARE

 Le malattie più frequenti nel diabetico anziano sono:

-Ipertensione

-Miocardiosclerosi con aritmie(f.atriale,extrasistolia)

-Cardiopatia ischemica

-Ipertensione

-Vasculopatie periferiche(fino all’amputazione).

Escluso,ovviamente, il caso dell’amputazione le altre patologie consentono un moderato esercizio fisico che anzi e’ raccomandato come terapia (la cosiddetta ginnastica vascolare).

Anche in questo caso il punto di rottura tra l’effetto terapeutico ed il danno e’ molto sottile e variabile da soggetto a soggetto.

 CONDIZIONI DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE E PERIFERICO

 Esclusi i pazienti con esiti di ictus cerebrale non vi sono particolari problemi per l’attività fisica se si eccettuano i casi di neuropatia sensitiva periferica,altamente dolorosa , di ulcere trofiche degli arti inferiori e di piede diabetico.

In questi casi vi sono controindicazioni relative e/o assolute allo svolgimento di alcuni tipi di movimento.

 CONDIZIONI PSICHICHE

 La psiche gioca un ruolo fondamentale in quanto influenza direttamente le patologie presenti in modo completamente differente.

Se il morale e’ alto si tenderà a minimizzare gli acciacchi mentre se si e’ depressi anche la malattia più banale getterà nello sconforto il paziente.

E’ come il classico esempio del bicchiere colmo a metà d’acqua:

a seconda di chi lo osserva esso può esser mezzo vuoto o mezzo pieno.

 ALTRE PATOLOGIE INTERCORRENTI

Il discorso va affrontato caso per caso vista la varietà di patologie intercorrenti e’ molto ampia e non se ne può trattare in questa sede perché si correrebbe il rischio di lunghi ed inutili teoremi il cui intreccio rende ancora più problematica la soluzione.

 MOTIVAZIONE

Molto vicina alla condizione psichica e’ la molla che fa decidere o meno al paziente di praticare attività fisica in genere.

Il paziente motivato viene stimolato e trova nella motivazione stessa gli spunti per caricarsi ed effettuare quanto richiesto.

La motivazione allevia gli acciacchi e migliora la cenestesi, la sua mancanza ottiene l’obbiettivo opposto.

 AMBIENTE IN CUI IL PAZIENTE VIVE E OPERA

 Le condizioni ambientali influiscono sullo svolgimento di programmi di educazione fisica in quanto ne condizionano il tipo e il modo di gestirla.

E’ infatti impensabile consigliare passeggiate in montagna per chi abita in località marine o nuotate a chi opera in paesi ad alta quota.

inoltre lo stile di vita varia molto se l’economia della città di residenza e’ prettamente rurale e invece industriale.

Sarebbe infatti molto suggestivo per il vecchio contadino diabetico fare lo jogging o per il pensionato statale che abita nella grande città lunghe passeggiate in campagna a meno che non ci vada apposta.

Ma allora avremmo stravolto uno dei concetti fondamentali dell’attività fisica dell’anziano: la facilità e la semplicità di esecuzione in assenza di supporti tecnologici non sempre reperibili con immediatezza.

 Esaminate tutte queste variabili si può procedere a stilare un programma di intervento che ,come si può ben vedere , deve essere estremamente personalizzato in quanto non troveremo mai ,o quasi, due pazienti perfettamente sovrapponibili per condizione.

Nella nostra trattazione non abbiamo considerato il tipo di diabete e se cioe’ i pazienti sono trattati con insulina o ipoglicemizzanti orali.

Tale differenza e’ fondamentale e corretta nel giovane e nell’adulto nei quali si arriva a sforzi notevoli ed anche alla attività agonistica mentre nell’anziano il livello dell’esercizio fisico non assume valori tali da dover differenziarlo per tipo di diabete.

In ogni caso invece bisogna stare molto attenti alle ipoglicemie che sono piu’ pericolose che per il giovane perché intervengono in un organismo in non perfette condizioni fisiche e perché , nel diabetico anziano, i segni premonitori dell’ipoglicemia spesso non sono avvertibili dal paziente a causa di alterazioni dei meccanismi di controregolazione per cui si può precipitare in coma senza accorgersene.

Tale evenienza e’ già molto pericolosa da se stessa , figuriamoci se si tratta di un anziano malfermo sulle gambe ed in cima ad una scala. Ciò deve spingere ad una estrema attenzione agli eventi ipoglicemici specie in corso di esercizio fisico. Ma l’esercizio fisico può anche essere effettuato nel corso della propria vita di tutti i giorni senza stravolgere abitudini ed usi ma utilizzandoli con il doppio scopo di svolgere le proprie mansioni e di fare ” sport”.

Al contadino diabetico che ,nonostante l’eta’,lavora nei campi non vi e’ necessita’ di consigliare alcuna attività particolare;

al massimo si programmerà tale lavoro in modo da evitare cali della glicemia pericolosi.

Il consigliare l’uso delle scale al posto dell’ascensore e di una salutare passeggiata dopo pranzo per ridurre l’iperglicemia postprandiale si rivela molto utile e non e’ banale come sembra.

Il segreto per motivare il paziente e’ quello di partire dalle sue abitudini e dai suoi gusti per stimolarlo ad un programma di educazione fisica invece di elaborare teorie che mal si applicano al paziente stesso.

Semplicità dunque che non deve far confondere con la banalità in quanto venire incontro al paziente significa stabilire un rapporto di fiducia e di confidenza che non può che risultare estremamente vantaggioso nel management della malattia diabetica integrando con efficacia i vari aspetti terapeutici che consentiranno di giungere all’obbiettivo finale e cioè alla fitness intesa come benessere psichico oltre che fisico.

In conclusione i principi dell’attività fisica per il diabetico anziano devono essere estrapolati dal paziente stesso inteso come soggetto del programma e non come oggetto consentendo un rapporto interattivo con l’educatore che dal feedback del proprio messaggio potrà indirizzare i propri sforzi nella direzione voluta dal diabetico e modificare il programma stesso alla luce degli input che riceverà.

 a cura di Giuseppe Pipicelli

 

Dia-obesità e sforzo fisico

E’ nota la relazione tra sovrappeso corporeo e ridotta sensibilità insulinica e sono altresì noti i benefici effetti che una attività fisica programmata e regolarmente eseguita esercita sia sull’efficienza fisica che sul controllo del peso corporeo.
Il soggetto con sovrappeso corporeo dimostra una ridotta capacità di lavoro legata al fatto che la cosiddetta soglia anaerobica viene superata a livelli inferiori a quelli di un soggetto normopeso. Egli tende ad utilizzare di preferenza i lipidi piuttosto che i glucidi durante sforzi fisici anche intensi e di durata piuttosto limitata ed è noto che i lipidi offrono un rendimento energetico inferiore a quello dei glucidi. Questa “preferenza” può essere legata alla ridotta sensibilità tissutale per l’insulina.
La capacità di aumentare la ventilazione durante attività fisica è limitata dal tessuto adiposo disposto sulla gabbia toracica che riduce le escursioni di volume del torace stesso.
Questo insieme di considerazioni fanno ritenere il soggetto sovrappeso, e tantopiù il soggetto francamente obeso, una “entità antieconomica” dal punto di vista ergometrico sia per motivi meccanici e che per motivi biochimici. Quanto sopra trova significativa conferma nell’osservazione che lo stesso quantitativo di lavoro implica nel soggetto obeso un consumo di ossigeno significativamente più elevato di quello richiesto in un soggetto normopeso.
In effetti l’esercizio fisico sembra svolgere una funzione benefica sia sul piano meccanico che su quello biochimico.
Da recenti nostre osservazioni risulta che il sottoporre soggetti obesi a due sedute giornaliere di mezz’ora l’una al cicloergometro a carichi di lavoro aerobico per quattro settimane, nonostante il mantenimento dell’abituale alimentazione, ha prodotto modificazioni sensibili.
Alla conclusione del periodo si sono registrate gli incrementi di lavoro massimo sostenibile (92 W vs 101 W,  +10%), del livello di superamento della soglia anaerobica ( 64 W vs 74 W, + 15%),  dell’acido lattico a massimo sforzo (4.9 vs 6.3, + 27%), di massima ventilazione (60 L/min vs 64, + 7%), di massimo consumo di ossigeno (1390 ml/min vs 1540, + 10%), del prodotto della pressione sistolica per la frequenza cardiaca (doppio prodotto), espressione del consumo di ossigeno cardiaco    (24450 vs 25460, + 4%).
Dopo il periodo di allenamento si registrava altresì, una riduzione significativa a digiuno ed a riposo dei valori di glicemia (100 vs 87) ed insulinemia (12.8 vs 9.1), con aumento della sensibilità insulinica.  
Nel contempo si osservava un calo ponderale medio di 3 Kg, con riduzione dell’indice di massa corporea (BMI da 33.9 a 32.8).
Quanto sopra corrispondeva alla percezione nei soggetti di un miglioramento della qualità di vita.
E’ nostro intendimento proseguire nel tempo l’osservazione di questi soggetti introducendo una opportuna terapia alimentare, e quantizzare  gli eventuali benefici che sarebbero fondamentali nel mantenere l’impegno all’attività fisica e l’aderenza alla dieta.
Tutto ciò può essere inquadrato in un programma più ampio di prevenzione del rischio cardiovascolare che è particolarmente elevato in questa tipologia di soggetti.

Alberto Salvadori
Primario Pneumologo – Laboratorio Sperimentale di Fisiopatologia Respiratoria
Istituto Auxologico Italiano

Pilota Automatico e Fai da Te.

                                                    ESERCIZIO FISICO

Quando si svolge attività fisica lenta e di lunga durata, la persona senza diabete accende dopo alcuni minuti il motore aerobico con un meccanismo automatico che consente all’organismo per mezzo dell’insulina di utilizzare al meglio lo zucchero nel sangue e le scorte di zucchero; con il passare dei minuti la glicemia lentamente diminuisce e per bilanciare questa diminuzione ecco intervenire la noradrenalina e il glucagone (che mobilizzano il glucosio epatico) e in successione più lenta il cortisolo e l’ormone della crescita. A questo punto il motore metabolico è completamente orientato a racimolare zucchero ove è possibile e l’insulina diminuisce fin quasi a scomparire dalla scena. Chi svolge attività fisica deve essere attento a non ingerire zuccheri semplici in grande quantità poiché il motore invertirebbe allora il suo funzionamento e di nuovo glicemia più elevata, incremento dell’insulina e scomparsa degli altri ormoni sopracitati.

Nelle persone con diabete gli eventi sono identici, ma manca il controllo automatico dell’insulina; il controllo è nelle mani di chi vive con il diabete che deve regolare la somministrazione dell’insulina secondo la prescrizione medica temperata dalla conoscenza metabolica dell’attività che si svolge. Dose di insulina controllata in funzione dell’attività in modo da evitare l’ipoglicemia da un lato e l’iperglicemia dall’altro, ricordando che aumentano sia la sensibilità all’insulina sia l’irrorazione del muscolo durante l’attività e che la diminuzione della glicemia proseguirà anche nelle ore successive alla fine dell’esercizio fisico.

 Dott. Eros Barantani

Primario Medicina

Auxlogico Piancavallo Verbania